La Costiera amalfitana, il nutrimento e le visioni
di FEDERICO PACE
Il viaggio prende inizio in un giorno di dicembre da Castellammare di Stabia nel Golfo di Napoli. Ho seguito il consiglio di una persona che vive da queste parti: se vuoi davvero vedere la costiera amalfitana, mi aveva detto, è meglio arrivarci passando da qui. Così ecco il Municipio, il grande edificio del cinema Montil, il porto e la Fincantieri. Metto in moto la piccola utilitaria color azzurro del cielo e vado sulla via Panoramica, la statale 145, la Sorrentina. Le auto in fila e il dorso degli edifici delle grandi catene di alberghi che stanno chiusi e aspettano la primavera. Dopo il bagno Famous Beach, per la prima volta, la strada mi lascia sbirciare la costiera con i suoi promontori in sequenza che si rimpiccoliscono all’orizzonte. Nello spazio che ci separa da Sorrento, come in tutto il Golfo di Napoli, primeggia il giallo del tufo delle rive e degli scogli. Entro a Vico Equense tra pini e ulivi. Una sequenza infinita di bar e trattorie. A Marina di Equa, una strada stretta tra le case e qualche albero di arancio. Poi, dopo Punta Gradelle, qualche serpentina con il mare sotto di noi.
IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
—>>>“Strade d’Italia. 40 strade d’autore” (Touring)
La strada snoda i suoi movimenti lungo le insenature della terra in un paesaggio affascinante fatto di rocche ricoperte dalla macchia mediterranea e di vedute marine. A tutto questo si è sovrapposta nel tempo un’omologante edilizia aggressiva e volgare, ma resta ancora molto per stupire chi passa di qui. Si procede con lentezza anche in questa stagione, ma si ha quasi la sensazione di una panoramica aerea. Poi ecco già Sorrento, via Correale, le piazzette e i bar. C’è chi sta a sedere, chi cammina davanti ai negozi di scarpe con la mercanzia esposta e l’insegna in inglese che decanta la qualità delle calzature italiane a pochi euro. I merletti e le librerie su Strada San Cesareo. Ci si perde tra i vicoli. Quando riparto, su via Capo riappaiono le rocche e il mare. La vista è ancora bellissima, deve essere qualcosa che ha a che fare con l’origine, per lo più vulcanica, dei suoli di queste parti. Si sale un poco, fino a dove da una verde ringhiera che ci separa dal mare che sta giù, mi sono fermato a guardare indietro per rimirare ancora la baia di Sorrento. Gli hotel e i ristoranti hanno ripreso la loro corsa fra i pini e le stradine che scendono a mare. Marina di Puolo e Capo di Massa. I promontori qui appaiono più liberi e verdi, meno aggrediti dall’edificazione. Si gira in tornanti molto stretti. Poi a Masssa Lubrense, svolto su via Palma dove un’indicazione rammenta un caseificio che si chiama Due Golfi.
Qui, tutto è “due golfi”. Questa, d’altronde, è la terra di passaggio. Tutta la penisola sorrentino-amalfitana pare aggrumare sul proprio sperone una variabilità di territori come non se ne trova forse in alcuna altra parte di queste zone. Ci sono pianure alluvionali che sfociano in estesi litorali. Ci sono massicci che si affacciano anche direttamente sul mare con falesie o dolci declivi. Vista dall’alto, la penisola sorrentino-amalfitana dà l’idea di un insolito Giano Bifronte. Case e pianure a ovest, sprofondi e precipizi rocciosi a sud. Allora scendiamo verso il mare tra limoneti e ulivi, sulla stradina via Vincenzo Maggio. Poi Conca Verde e Punta Lagno. Ecco Marciano e il campanile della Parrocchia Sant’Andrea Apostolo, una delle più antiche chiesette nella Terra delle Sirene. Poi, con delle curve molto strette, si risale verso Roncato e Temini. Anche qui prevale un’edilizia aggressiva che ha calpestato in parte l’equilibrio con l’ambiente circostante.
Dopo Sant’Agata dei Due golfi e Colli di Fontanelle, capisco perché sia consigliabile arrivare proprio da queste stradine. E’ in questo punto infatti che si intravedono per la prima volta gli isolotti dell’arcipelago delle Sirenuse, lì dove le sirene tentarono di attirare Ulisse e Rudolf Nureyev comprò una residenza dal cui salone si dice si possa vedere il più bel panorama della costa. Raffaele La Capria ha ricordato come è qui che svenne quando ci passò per la prima volta. Non era solo colpa delle curve, ma anche della “bellezza aspra e sconosciuta, inimmaginabile per uno nato a Posillipo sotto l’ala protettiva di Virgilio”. Ecco allora la statale 163 verso Positano. Si scende in curve molto strette lungo la strada che è stata ultimata solo nel 1853. Fino ad allora, venire da queste parti, era un’impresa per viaggiatori avventurosi. Basti pensare che nel 1777 Henry Swinburne, uno dei pionieristici viaggiatori inglesi, salì da Vietri fino a Dragonea per poi scendere a piedi “tra i boschi su rocce scabrose e strapiombi” fino a Maiori. Per arrivare a Amalfi dovette prendere una barca a sei rematori.
Il percorso stradale, vero e proprio emblema delle grandi capacità ingegneristiche umane, è stato tagliato nella roccia e pare integrarsi perfettamente in questo universo. Più si scende verso il mare, più la pietra scoscesa e vertiginosa accentua il suo contrasto con l’azzurro del mare. La sequenza di curve sembra non finire mai e duplicare sempre la meraviglia, fino allo stordimento. Alle volte si può arrivare anche a temere per sé. John Steinbeck, l’autore che descrisse l’America delle grande crisi e affittò un auto con autista per girare da queste parti, nel reportage di quel viaggio pubblicato su Harper’s Bazar, svelò la meraviglia mista al disagio: “piombammo come bolidi sulla costa, in una strada altissima sul mare azzurro, che s’incuneava e si sporgeva su un esile bordo inconsistente… sul sedile di dietro, io e mia moglie ci tenevamo avvinghiati, piangendo istericamente uno nelle braccia dell’altro”. Dopo un’ultima curva, ecco le case di Positano. Le bianche cupole mediterranee e quelle dimore così perfette e racchiuse su se stesse appaiono come un modello ideale per ogni architettura possibile che rispetti l’uomo e la natura. Poi Praiano con il cartello di benvenuto sulle maioliche di ceramica bianca e verde marino. L’Hotel Tritone.
Quando si passa di qui è impossibile non provare una strana eccitazione: in una curva nello stesso sguardo ci finisce un ulivo, una casa in pietra, un fico e dei terrazzamenti. Prima di Vettica Maggiore si passa sotto un arco di pietra e subito dopo un altro bel cartello in ceramica di accoglienza a “Praiano, il cuore della costiera amalfitana” (ma quanti cuori ha davvero la costiera amalfitana?). La stradina si fa stretta, si passa tra case e muri in pietra. Quando questa via non era stata ancora costruita, proprio a Praiano, e al fondaco di Conca, giungevano le granaglie, i legumi e i prodotti alimentari che venivano comprati ai mercati di Salerno e di Castellammare. Da qui poi, con i muli, le merci venivano distribuite ai centri abitati inerpicati sulla montagna. Se è vero che il mondo di allora può essere solo immaginato o riassaporato attraverso le visioni delle fotografie primitive di Paul Jeuffrain, il negoziante di tessuti che nel 1853 fotografò per primo la Costiera con il procedimento della calotipia, o quelle nitidamente in bianco e nero di Giorgio Sommer e Domenico Anderson, anche in questo dicembre la costiera mantiene sembianze insolite e affascinanti.
Un ponte e siamo nel mezzo del Vallone di Praia. Qualche cavalcavia, una galleria, ecco Furore e la Locanda del Fiordo. In queste gole è come se le foreste del Perù si specchiassero nelle acque di un mare profondissimo. Poi si vede la baia di Conca dei Marini e Capo Conca. Sulla sinistra, verso terra, la riserva naturale della Valle delle Ferriere, lì dove prima c’erano le cartiere, si trovano ancora rarissime felci giganti, piante carnivore e boschi di castagno. Come si svolta una curva, la costiera si presenta nella sua profondità e, subito dopo l’Hotel Belvedere, si distinguono chiaramente Amalfi e Maiori. A Vettica minore, la strada è piena di vetture parcheggiate in fila. Qui un tempo, l’impraticabilità delle strade aveva fatto sì che i “pezzentissimi” abitanti del luogo non avessero altro mestiere che quello di trasportare sulle spalle le sedie con i passeggeri che andavano dall’entroterra da Gragnano fino a Amalfi o fino qualche altra località della Costiera sita sulle “dirupate montagne”.
Allora il viaggio fino a Amalfi durava anche tre ore e “non senza rischio di vita”. Ancora valloni e insenature, brevissimi ponti e scoscese pareti e insenature. Un fioraio sul mare prima di entrare a Amalfi. Si vede il paese nella sua baia e la punta dove c’è la torre normanna ora banalizzata a ristorante. Le scalinatelle e corso delle Repubbliche Marinare. In questi luoghi vertiginosi è venuto è diverse volte anche Maurits Cornelis Escher, il grafico e incisore olandese noto per le sue fantastiche architetture. Si può pensare che l’insolita orografia di queste parti, e le architetture segrete delle abitazioni, gli servivano come nutrimento per le visioni che gli stavano affiorando nella mente. Arrivò la prima volta con una carrozza a cavalli e che le piante e il paesaggio della costa amalfitana lo attrassero così tanto che ci rimase mesi. E’ proprio nelle opere di quegli anni che per la prima volta apparvero ramarri verdi che si muovono sulle mura in pietra, archi in chiostri che retrocedono all’infinito e poi i balconi e le scalette. Se si guarda la sua opera sulle scalinate e archi di Atrani si capisce perché ogni volta che si viene da queste parti pare di avere un’esperienza onirica. Anche a Castiglione una bella insegna in maioliche bianche e azzurre che ricorda le qualità di un “ristorante sugli scogli, bar dancing, tea room, bagni”. Poi Ravello.
Verso Minori la strada si fa più gentile e i monti scendono fino al mare con meno precipitazione. Dolci rilievi e terrazzamenti. Marmorata e poi Minori con i balconi azzurri e la baia. Anche qui le palme, l’ansa, la tranquillità, il volto del paese rivolto verso il mare. Gli alberghi, i pini e le palme. L’ampio lungo mare, gli alberi di arance e le compagnie sedute ai tavolini bianchi dei bar a prendersi il sole. La torre normanna di Maiori, poi un altro vallone. Ogni tanto, mentre si procede, viene voglia di fermarsi e voltarsi, soprattutto ora che si va verso i titoli di coda della costa Amalfitana. Con le curve e le giravolte si gira intorno a Capo d’Orso, ultimo sperone della grande dorsale che dal Monte Pertuso dei Lattari, per il Monte dell’Avvocata, si spinge fino al mare. Cavità, cunicoli e anfratti contrassegnano le pareti rocciose. Qui, come lungo tutto il litorale, si aprono numerose grotte marine. Alcune sono dovute all’attività di demolizione e di modellamento del mare, altre si sono formate più in alto e pian piano hanno raggiunto il livello marino per il lento sprofondamento della costa: la Grotta di Pandora, la Grotta delle Monache e la Grotta dell’Acqua sulfurea, nella Baia Verde, vicino Maiori. Poi a Cetara le insegne ricordano che lì si vendono Tonno di Tonnara, Filetti di Alici e Alici marinate. Un breve pasto e già finita. Si vede Raito, Vietri sul Mare e poi laggiù il Golfo di Salerno.
IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
L’EBOOK:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza” da Einaudi
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
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NOVITA’:
Il nuovo libro di Federico Pace, “La libertà viaggia in treno” (Laterza), è in libreria a partire da giugno 2016.