Le Alpi, i narcisi e la vulnerabilità della natura

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di FEDERICO PACE

Non è facile accettare che armadi e cassetti siano sostituiti dall’esiguità di uno zaino. Per questo ci si intestardisce sempre, quando si parte per un viaggio a piedi, a posticipare quanto più possibile l’istante in cui si deve mettere insieme il bagaglio che porteremo sulle spalle. E quando infine si capitola al compito ingrato, si oscilla sempre, tra l’irrazionale abbondanza di chi si sovraccarica e l’estrema essenzialità dell’asceta. Tutto questo accade anche quando si va, per qualche ora, o qualche giorno, in quello spazio della Svizzera dove i sedimenti calcarei prendono la forma di monti e punte aguzze, lì dove il bianco che si intravede in alto è quello di un ghiacciaio e i colori quelli delle distese di fiori e degli specchi d’acqua. In quei luoghi compresi tra il lago Lemano e l’Oberland bernese, l’enigma di cosa sia giusto mettere dentro uno zaino si presenta, almeno per alcuni, quasi come irrisolvibile. Così, si sta fermi, a lungo, a guardare gli oggetti che, su un letto, sul pavimento e su un tavolo, stanno immobili al pari di animali domestici nell’attesa del cenno del padrone per la passeggiata quotidiana.

IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)

Sono tanti i percorsi all’interno degli scenari in questo angolo di Svizzera. Ci sono camminate in vetta, sul lungolago, ascensioni di ghiacciai, sgambate in piano e sulle colline coperte di vigne da Lavaux e Ouchy fino a Villeneuve. Intorno a queste stesse vette, nel dedalo di questo verde che si fa sempre più scuro quanto più si sale, in queste valli scoscese, tra i precipizi vertiginosi, portò i suoi passi, nel maggio del 1857, anche quello scrittore che di cammino ne avrebbe fatto ancora molto prima di andare a finire i suoi giorni in una remota stazione ferroviaria.

L’idea di mettersi in cammino a Tolstoj venne dopo che l’amico Michail Pu∫kin, in compagnia della moglie Marija, decise di lasciare Clarens, il piccolo centro nei dintorni di Montreux dove avevano trascorso insieme qualche settimana. Anche lui, poco prima di mettersi in viaggio, si interrogava sulle modalità di preparazione di un bagaglio e, consapevole della propria inclinazione, quasi capitolando davanti a un’impresa più grande di lui, nei suoi diari ammise, consolandosi un poco, che nessuno «può fare a meno di una cosa perduta con maggiore disinvoltura» di un russo. Nessuno può «portare con altrettanta indifferenza un vestito sporco o sgualcito».

Che si parta da Thun, si vada verso Heiligenschwendi, o ci si trovi a dirigersi verso il Passo del Sanetsch, le cose non sembrano quasi mai cambiare. A un certo punto, dopo un po’ che l’entusiasmo dei primi passi ha lasciato spazio alla consapevolezza di quello che ci aspetta, lo zaino, non visto da noi, percepito solo, intuito in quel suo modo di starci sulle spalle, pare lievitare, crescere, diventare ancor più grande di quanto non sia. Tanto da fare venire il sospetto, che abbia aspettato di essere ormai distante dalla stanza d’albergo, per svelare, quando ormai non si può più tornare indietro, la sua vera natura di grave che pesa infinitamente.

Quando Tolstoj, insieme al suo giovane compagno di viaggio, il figlio undicenne di una famiglia di conoscenti, cominciò a salire per una scaletta da Montreux in mezzo ai vigneti, diretto verso la montagna, si ritrovò subito a fare i conti con quel peso. Gli tirava tanto da dietro le spalle, e l’aria era così calda, da arrivare a pensare di non essere in grado di potere mantenere il passo del giovane che era con lui.

Ma in questi luoghi il sollievo arriva, come un sortilegio, quando sulla retina dell’occhio s’imprimono gli orli spezzati di un lago o la fresca cupezza di una strada tagliata in profondità nella roccia, il profilo di un albero di bosco o la forma di vita ancora più minuta di un fiore.

Quando andò verso il Dent-de-Jaman, verso quella punta dalla forma insolita che supera i mille e ottocento metri, Tolstoj provò un tale piacere nel camminare che si rammaricò persino di passare davanti a questi scenari troppo in fretta. Nei giorni in cui George Gordon Byron si inerpicò su per questo dedalo di monti, fiori e giaccio, aveva con sé i servi che portavano quel che più pesava. Ma anche lui, in qualche tratto scendeva da cavallo o dall’asino, e finiva per portare qualcosa sulle spalle. Proprio alla base di quella stessa punta fu tanta la fatica che nel diario, destinato alla sorella Auguste, arrivò a confessare che il sudore che gli colava dalla fronte cadeva quasi fosse pioggia che lasciava delle impronte sulle chiazze di neve. Lo spazio qui è talmente maestoso che Byron arrivò a scrivere: «ultimamente ho ripopolato la mia mente con la natura».

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Una vasta radura di narcisi, alcune casette, le montagne boscose. Il paesaggio avvolge chi passa. La natura non ci colpisce tanto per la sua bellezza quanto per la fragilità che non riesce a celare. Non per la forza o la magniloquenza, ma per i silenzi e la vulnerabilità. Per come l’uomo, intento a costruire per sé un nuovo habitat, va trasformandola e svilendola. Di fronte al paesaggio naturale, di fronte a un campo fiorito, Tolstoj confessa che la bellezza della natura, suscita in lui un sentimento che non sa se sia «di gioia, di tristezza, di speranza, di disperazione, di dolore o di piacere».

Durante il cammino pare ripetersi quella specie di oscillazione provata poco prima di compiere il primo passo. Così, come prima si passava tra il desiderio di portare tanto e la preoccupazione del peso, lungo la strada, ci si ritrova a fare i conti con sensazioni opposte e contraddittorie. Una volta pare di avere dietro di sé un carico troppo pesante. Subito dopo, si ha la sensazione di poterlo sostenere con levità. Tra un passo e l’altro, si cerca di intuire le condizioni dei compagni che sono con noi. Si prova a capire il rapporto segreto che hanno stabilito con lo zaino, dalla piega della bocca o dal modo in cui mettono un piede davanti all’altro.

Byron, passò per la valle di Simmental, arrivò a Thun, attraversò Interlaken, giunse alle pendici della Jungfrau e in mezzo a quelle cime, tra il Grosser Eiger, il Wetterhorn, il Dent d’Argent e il Kleine Eiger, sentì cadere le valanghe ogni cinque minuti come se «Dio stesse scacciando il diavolo dal paradiso a palle di neve». Ogni cosa parve travolgerlo. Ma poco prima di finire il viaggio ammise, lui che era stato costretto a lasciare l’Inghilterra in esilio, di essere stato accompagnato dall’amarezza dei ricordi delle pene più recenti e che, in ciascuna di quelle lunghe camminate, né il torrente, la montagna, il ghiacciaio, la foresta, né la nuvola, erano riuscite, neppure per un istante ad alleviare il peso che aveva sul cuore.

Verso la fine del viaggio a piedi, Tolstoj che sapeva quanto fosse difficile liberarsi del peso dei propri pensieri, si accontentò di un sollievo più accessibile all’uomo. Dopo avere provato una trattenuta e inesorabile invidia, per un tipo che gli passò davanti con una minuscola borsetta, acconsentì a lasciare lo zaino che pesava sedici chili su un carretto condotto da un giovane e una vecchietta, per proseguire, finalmente leggero, verso la meta.

IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)

—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)

L’EBOOK:
—>>>Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza” da Einaudi
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)

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NOVITA’:
Il nuovo libro di Federico Pace, “La libertà viaggia in treno” (Laterza), è in libreria a partire da giugno 2016.