Sulla via Aurelia
di FEDERICO PACE
E’ da Livorno che comincia questo viaggio sull’Aurelia. Dalla città che ancora conserva se stessa nelle braccia protese delle palme, nel lungomare di viale Italia e nel silenzio di una giostrina. Passo così, davanti ai marciapiedi larghissimi e alle geometrie metafisiche della Terrazza Mascagni, alle schiere di motorini dei ragazzetti che già vanno al mare e alle lettere dell’insegna dei Bagni Pancaldi.
IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
Per arrivare a Orbetello si devono percorrere poco meno di duecento chilometri e c’è nell’aria, la lucentezza che dovevano avere le strade di un tempo. Per Carlo Levi, pittore e scrittore attento ai cromatismi della vita, l’Aurelia, la consolare che unisce Roma alla Francia, era “un bordo bianco sull’abito azzurro del mare”. A Antignano, poco prima di una curva, c’è già il riverbero di una casa, una finestra chiusa e la scia di una barca che taglia l’orizzonte.
Viaggiare sull’Aurelia è sempre speciale, forse perché sulle strade che seguono l’orlo che separa la terra dal mare sembra che si possa ricevere un conforto che ci viene concesso di rado. Una leggerezza e una gioia quasi infantile. Le due linee bianche che sulla strada segnano il divieto di sorpasso paiono tinte di nuovo e fuggono lontanissime. L’Aurelia comincia presto una specie di serpentina lenta e sale e scende per far vedere meglio quello che c’è: le grotte poco prima di Calafuria e la Torre. E’ sola una delle tante che vennero erette per difendere la coste e che ancora rimangono lungo il litorale. Poi, la riserva naturale. Una lecceta, cespugli di ginestre, qualche pino marittimo. I ristoranti si susseguono uno dopo l’altro sulla costa, con le loro terrazze, il biancore delle tovaglie e la luce nelle vetrate. Poi i promotori, come grandi musi di animali preistorici che si abbeverano nelle acque. C’è uno spiazzo dove potersi fermare per qualche minuto a rimirare il paesaggio del mare. Sotto scorre la ferrovia litoranea e quando passa il treno e facile farsi cogliere di sorpresa dal rombo dei vagoni sulle rotaie.
Dopo Quercianella, le curve si fanno più strette e vertiginose. Pure, libere e ventose. E’ un alternarsi di tegole rosse, di viali alberati e di ombre di pini. Si può intuire lo scrosciare d’acqua contro i precipizi degli scogli. Tutto accade in pochi chilometri. Questa vecchia Aurelia, si avvicina ancora di più alle linee segrete della Costa degli Etruschi e si prosegue così, tra l’odore dei pini, gli oleandri che sbucano dai muri di cinta delle ville e la promessa dell’estate. Poi Fortullino. Le curve con improvvise aperture e scorci fino a quando, a tre chilometri da Castiglioncello, ci si imbatte con lo sguardo nell’immagine preziosa di Villa S. Lucia. Mentre si è alla guida appare quasi come un miraggio. Per l’eleganza, per il verde che la nasconde e per quell’intima prossimità con il mare. E’ istintivo rallentare un poco per provare a sognare di poterci trascorrere qualche giorno d’estate. Poi si scende un poco. Allora l’Aurelia viaggia affiancata alla ferrovia e entra a Castiglioncello. Ecco le pinete, le spiagge e le insenature, le stradine e Castello Pasquini.
Ho impiegato quasi un’ora per arrivare fino a qui, poco meno di trenta chilometri da Livorno, eppure, se potessi ripercorrerli, li rifarei ancora più lentamente. La strada però prosegue e va verso sud. Più procedo e più mi accorgo che l’ebbrezza quasi da Costa Azzurra e quello zigzare tra rocce e mare sono ormai alle spalle. Superato Castiglioncello è come se cominciasse un nuovo capitolo di questa strada tra terra e mare. Inizia un segmento più posato e meditato. Verso l’entroterra, verso est, sfilano gli stabilimenti della Solvay. Le ciminiere e i fumi. La chimica e la modernità già divenute passato con le loro minacce, la corsa di un secolo e le promesse illusorie. Poi scompaiono anche quelle.
L’Aurelia continua sempre più diritta. Lo sguardo ci si perde quasi, fino a vederla sparire nell’orizzonte. Questa strada, d’altronde, è un fantasma. La sua storia è piena di enigmi. Le origini del nome, il tracciato originario, le città che toccava. E’ una via riemersa, quasi come un fiume carsico. Qualcosa di perduto e reinventato. Costruita dai Romani dopo aver sconfitto i Cartaginesi. Tutte quelle torri che si incontrano ancora oggi, per difendersi dagli attacchi dal mare. Poi la distruzione e il crollo dell’Impero. Le paludi e la scomparsa. L’inabissarsi di una strada nella dimenticanza e nel disuso. La ricostruzione poco meno di duecento anni fa con le bonifiche di queste terre da parte di Leopoldo II.
Da Vada la strada è sempre più piana. Un po’ contadinesca e un po’ marinara. Qui un tempo le acque davano da vivere e da mangiare. Nelle secche si pescava, con le manaidi, le acciughe e le sardine. Ora, nelle stesse acque, ci sono i mondiali di pesca. Gli uomini di mare hanno lasciato spazio agli sportivi e agli appassionati di hobby. Ci si allontana allora un poco dalla costa. Anche la ferrovia si frappone tra la strada e il mare e l’Aurelia si restringe. Poi Cecina: la stazione, piazza Antonio Gramsci, l’edicola e un negozio di cellulari. E’ solo un attimo. Poco fuori, una casa cantoniera proprio vicino a una rotatoria ha il cancello di legno e le ante delle finestre che stanno chiuse chissà da quanto tempo. Poi i grandi negozi di mobili, i discount e i cactus nei giardini delle case. I rivenditori di auto giapponesi e gli outlet. Poi lo spazio si apre e la natura diventa piana, colorata e aspra.
Quando Pierpaolo Pasolini aveva trentasette anni, fece un viaggio lungo la coste dell’Italia, da Ventimiglia a Trieste. Quando arrivò a questo punto dell’Aurelia scrisse: “poi comincia la Maremma, la storia stinge, si attenua, ha un vuoto”. Ecco i poderi, la deviazione per Stazione Bolgheri, Vivai, ferribattuti, agriturismo. Dopo San Guido, dei giovani platani stanno sul ciglio della strada. Il mare, nonostante tutto, è sempre presente nell’aria, nell’allegrezza leggera della gente, nei colori del vestito a fiori di una donna. Poco più giù, si entra a Donoratico. Sfilano le saracinesche appena abbassate e le schiene della panchine vuote. C’è l’attesa e l’abbandono di quelle ore in cui ci si riposa. Poi qualche fattoria, un paio di ristoranti e è già tempo di arrivare a San Vincenzo. Sono quasi le tre del pomeriggio, ho messo altri quaranta chilometri alle spalle e ai fianchi della strada ci sono campi di olivi, casolari e poderi.
Da qui si taglia la val di Cornia che unisce la maremma livornese con quella grossetana. Dopo Venturina e le sue terme etrusco-romane, lo sguardo si perde ancora nei campi per distanze lunghissime. Terre arate. Filari d’alberi in distanza. Verso est, le linee dolci dei poggi. In alto, gruppi di nuvole bianche si muovono nell’ampiezza del cielo. Poi una linea di irrigazione in un campo si perde verso l’entroterra, Presselle, i poderi e i filari di pini fino a Follonica. Il golfo e l’Isola d’Elba.
Quando a un piccolo bar di strada racconto che sto andando a Orbetello, ma non ho un appuntamento e neppure torno a casa, quando confido che il mio è soprattutto un viaggio sull’Aurelia, il ragazzo dietro al bancone del bar mi guarda sorridendo. Bastano poche parole per diventare il centro dell’attenzione. Si avvicina, allora, uno con dei bei capelli bianchi e già un poco di abbronzatura. Comincia a raccontare. “Qui c’è una signora che va tutti i giorni a piedi lungo l’Aurelia. Pure di notte. E’ la signora di palazzo Guelfi”. Sembra che cammini nel tratto che va dal Casone fino a Scarlino Scalo. E’ poco più avanti, mi dice. Non accetta passaggi da nessuno. Coltiva ortaggi ma anche fiori ai bordi delle strade e dei fossi. Le strade, dico, sono fatte per camminare. Quello con i capelli bianchi mi vuole offrire da bere. “Non posso, dico, devo guidare”. Allora vado verso est e il lunghissimo rettilineo fa pensare a una pista di decollo.
Si passa sopra il fiume Pecora e si incrocia la strada del Casone. Al di là delle linea di delimitazione della carreggiata, al di là di quel tratto bianco un po’ stinto, non c’è quasi lo spazio neppure per un passo. C’è un po’ d’erba, poi un fossato. Come ci si può camminare senza correre dei rischi? Quello che deve essere Palazzo Guelfi, l’edificio dove dovrebbe vivere la donna che mette un passo dietro l’altro sull’Aurelia, me lo ritrovo sulla destra. Sta dietro a un cancello quasi arrugginito e chiuso e ha un muro di cinta non troppo alto. Non sembra esserci anima viva. Chissà dove è andata a camminare la donna che coltiva fiori sul ciglio di una strada. Poi anche Scarlino Scalo scompare dietro le spalle. Da un lato, le Colline Metallifere, dall’altro, monte Calvo con i suoi versanti scoscesi. Praterie secche e cespugli aromatici. I casolari abbandonati e i rampicanti. L’Aurelia viene affiancata dalla ferrovia e dopo Gavorrano, passa tra il poggio del Quercione e gli ultimi rilievi del gruppo del Monte d’Alma. Poi smette la sua fuga dal mare che era iniziata a Follonica, e piega verso sud. Sfilano gli hangar delle grandi imprese edilizie in crisi. Poi di nuovo le distese e le praterie mentre la luce scende di un semitono. Diventa d’improvviso pomeriggio. L’Aurelia, ora, pare d’argento.
La provinciale da qui viaggia molto vicina alla statale. E’ un attimo, e la strada pare già diversa. A Grosseto, il centro urbano più grande in cui entriamo da quando siamo partiti da Livorno, la strada diventa di tutti come accade solo nelle città. Di quelli che vanno a casa. Di chi è uscito a fare le compere. Dei ragazzi che girano in macchina anche solo per andare a prendere le sigarette al bar. La stazione, il piazzale, le vetture parcheggiate. L’Aurelia ora non è più una rampa, né uno scivolo, né una linea che si perde nell’orizzonte della maremma. E’ un labirinto in cui è facile perdersi. Usciti da Grosseto, si passa sopra il fiume Ombrone.
Da qui mancano poco più di quaranta chilometri per arrivare a Orbetello. Si entra allora nell’arena più ampia della statale e si comincia a costeggiare il Parco Naturale della Maremma. I pini si avvicinano al ciglio delle strada. Impettiti e fermi, ci guardano passare con tutte le altre vetture che vanno più veloci. I monti dell’Uccellina e i grandi campeggi dai nomi esotici: Acapulco e Hawai. Come se il mare qui non bastasse da solo a suscitare sufficienti evocazioni. Poi si attraversa il delta, ampio e silenzioso, del fiume Albegna. Subito dopo, la laguna. L’Aurelia, allora, per entrare a Orbetello si rimpicciolisce. Si va dritti verso ovest. Si passa il parco delle Crociere e le mura di Levante. Su via della Diga, con il mare ai due fianchi, mentre comincia a crescere la notte, viene voglia di non fermarsi più.
IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
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L’EBOOK:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza” da Einaudi
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
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NOVITA’:
Il nuovo libro di Federico Pace, “La libertà viaggia in treno” (Laterza), è in libreria a partire da giugno 2016.