La Panamericana, il sogno e la realtà
di FEDERICO PACE
Una strada che si perde nell’orizzonte è un invito a muovere i passi. Ad alzarsi e camminare. Il matematico cileno e «antipoeta» Nicanor Parra, quell’inconsueto sapiente che s’appassionava ai numeri e alle parole con medesimo trasporto, in una delle sue antipoesie, una di quelle che aveva dato ispirazione ad Allen Ginsberg e a buona parte dei protagonisti della beat generation, pronunciava queste parole: «Yo quiero hacer un ruido con los pies, yo quiero que mi alma encuentre su cuerpo». Lì dove nel continente meridionale delle Americhe inizia la parte più a sud di quella che viene chiamata la Carretera Panamericana molti hanno mosso i propri passi con l’intenzione di colmare una separazione. La strada stessa pare un’illusione in quella sua ambizione di ricongiungere l’Alaska con quelle terre dove il Cile pare assottigliarsi talmente tanto da scomparire nel mare. Essa è una sorta di composizione complessa di autostrade nazionali, percorsi sterrati, terre desertiche e precipizi sull’oceano. Si pensa a essa come a una grande arteria che mette in comunicazione il nord con il sud delle Americhe, ma se la si vede disegnata su di una mappa pare più la ferita che sta incisa lungo il fianco del corpo separato di un gigantesco animale riverso sul mare. Muovere i passi verso una meta è il mantra che sta iscritto nella natura insita di ciascuna strada. Essa sembra per forza dovere portare da qualche parte.
IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
Da Lima, la ciudad de los reyes, parte alle due del pomeriggio un autobus della Cruz del Sur e va verso Tacna, una città che dista più di mille e duecento chilometri e sta proprio sul confine con il Cile. Il tutto, per poco più di trenta dollari. Ciascun dollaro per pagare un percorso di quaranta chilometri. Ci si impiegano diciassette ore e trenta minuti. Nell’estate del 1973, Roberto Bolaño, in un tempo in cui ancora non sapeva che avrebbe smesso di essere solo un aspirante poeta, all’età di diciannove anni, decise di lasciare Città del Messico per tornare nel suo Cile. Gli sembrava che fosse venuto il tempo per provare a compiere anche lui una sorta di ricongiungimento. Erano passati tre anni da quando Salvador Allende aveva trovato il modo di aprire una strada alla democrazia in uno dei lembi di mondo attraversati dalla Carretera. Per farlo, scelse proprio uno di quei pullman, ora dotati anche di una classe deluxe, al tempo un poco macilenti. I suoi amici, quando seppero che preferiva quel modo di andare lento e impervio, quasi lo derisero.
Si va lungo la fascia costiera, la chala, una striscia larga fino a quasi duecento chilometri. Una zona fatta di paesaggi desertici e piatti. Solo ogni tanto, lì dove si incontra qualche fiume, fa la sua apparizione un’oasi. La Cordigliera, lo scheletro delle Americhe, con le sue tre catene che, intervallate da altipiani che salgono gradatamente, separano queste terre aride dalla vitalità irruente e verde della Foresta dell’Amazzonia. Da qui in poi si prende confidenza con quello che Gabriela Mistral, la poetessa cilena, primo autore latinoamericano a vincere il Nobel nel 1945, chiama il maduro sol americano che scalda queste terre. Il pullman passa tenendo alla sua sinistra lo scheletro gigantesco della grande ossatura che tiene insieme il corpo sudamericano. Per la Mistral è la «carne di pietra dell’America» e il «sogno di pietra che sogniamo, pietra del mondo martoriata».
Lungo la strada si incontrano San Vincente de Cañete e, dopo tre ore, Chincha che dista dalla partenza duecento chilometri. Poi Pisco, Ica e le piantagioni di algodón ed espárragos. Poi Nazca nel mezzo del deserto della costa. Si è distanti quattrocento cinquanta chilometri da Lima e sono trascorse appena le prime sei ore del viaggio. Per raggiungere Camana, nel dipartimento di Arequipa, ci vogliono altri quattrocento chilometri. Ci si arriverà dopo sei ore. Da lì ad Arequipa, la ciudad blanca con le edificazioni coloniali in pietra vulcanica, ci vogliono altri duecento chilometri. In tutto si sono percorsi più di mille chilometri in oltre quindici ore. Poi Moquegua e infine, alle sette e trenta del mattino, si intravede Tacna poco distante dal confine. Da qui, con un taxi colectivo si supera il confine e si arriva ad Arica in Cile.
Da qui in poi la strada che porta il suo contributo al sogno della Carretera Panamericana si chiama la Ruta CH-5. Un bus parte alle quindici e trenta. Si attraversa la pampa del Tamurgal, il terreno secco e ricco di sale. Ancora il corpo robusto della Cordigliera delle Ande. Bolaño ha con sé libri di Proust e Joyce in spagnolo, le poesie di Arthur Rimbaud e di César Vallejo e, come il poeta Allen Ginseberg, il libro delle antipoesie di Nicanor Parra. Forse anche lui cercava di sentire il rumore dei propri passi. Forse anche lui cercava di fare in modo che l’anima trovasse il corpo. Poi il deserto di Atacama. Su di un murales a Santiago del Cile qualcuno ha immaginato Vìctor Jara, il cantante che aveva appoggiato Allende, come un condor che vola sopra le «grandi montagne ancestrali» mentre le «pietre rivoltate vogliono diventare vive e gridare».
Quando si arriva alla città di Antofagasta, si è ancora distanti più di mille e trecento chilometri da Santiago. C’è ancora molto da andare. Ecco Chañaral. Da qui la strada corre parallela alla costa per rientrare, quasi subito, verso l’interno. Si passano le città di Copiapó e poi Vallenar. E poi di nuovo verso l’oceano a La Serena e, a pochi chilometri, Coquimbo che dista da Santiago del Cile cinquecento chilometri. Poi Viña del Mar e Valparaìso dove Pablo Neruda venne ad abitare nella casa labirinto a forma di imbarcazione e a «scrivere appassionatamente». Qui, su questi «sgranati versanti dell’oceano», venne a vedere la «luce di ogni giorno» e a vivere sul «filo dell’onda».
Roberto Bolaño arriverà a Santiago del Cile all’alba del 20 agosto del 1973. Farà appena a tempo a partecipare il 4 settembre alla manifestazione di celebrazione dei tre anni della vittoria di Allende. Una settimana dopo, la mattina dell’11 settembre, La Moneda viene bombardata e Allende ucciso. In una poesia, intitolata il Ritorno, Gabriela Mistral, prima che tutto questo accadesse ancora, in quella sorta di atemporalità della creazione poetica, scrisse: «E siamo ritornati vuoti, tanto stanchi e falliti, balbettando nomi di patrie a cui non siamo giunti mai. E ci chiamavano stranieri, e mai figli, e mai figlie!» Vìctor Jara nel corso dei rastrellamenti venne arrestato e portato nello stadio cileno dove aveva cantato per Allende. Gli spezzarono le mani. Per lui niente più deserto, cielo e azzurro. Così come migliaia di altri cileni, venne ucciso a colpi di pistola e massacrato. Bolaño passò otto giorni in prigione fino a che le due guardie lo riconobbero come compagno di scuola. Solo dopo venne liberato. Non poté fare altro che tornare in Messico.
A ogni viaggio pare che ci si risvegli da una specie di torpore. Tutte le volte che si lascia il cunicolo della quiete domestica, si acuiscono i nostri sensi, e pare quasi di risvegliarsi e riacquistare la percezione che prima si era perduta. Ad ogni viaggio si ha quasi la sensazione di stare per uscire da una sorta di convalescenza che progredisce via via che si giunge in un luogo e poi in un altro. Alla fine del viaggio però, quando si ritorna nei luoghi abitati di consueto, è come se si ricadesse d’improvviso in quello da cui, come d’incanto, si era usciti. Il sonno, quella specie di torpore domestico, torna a velare il mondo che sta poco distante da noi e pare privo della stessa vitalità appena lasciata alle spalle. Il viaggio si direbbe uno stadio di risveglio passeggero. Un modo per intravedere la realtà senza alcun velo. Per lo scrittore cileno, scomparso prematuramente, quel viaggio in pullman verso Santiago del Cile fu invece «un sogno preparatorio e con il golpe cominciò la realtà».
IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
GLI EBOOK:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza” da Einaudi
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
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NOVITA’:
Il nuovo libro di Federico Pace, “La libertà viaggia in treno” (Laterza), è in libreria a partire da giugno 2016.