Il Rio delle Amazzoni e la capitolazione

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di FEDERICO PACE

Il viaggio fluviale è una specie di capitolazione a un’arcaica pulsione. Una resa, o un abbandono, a una forza troppo più grande di noi. Alle volte, come fosse una danza, si lascia che sia il fiume a comandare, e si segue quella corrente andare dalle sorgenti fino al mare. Altre, invece, si risalgono i flutti. Lo si fa intenzionalmente pure se con un impeto minore di quello che spinse Fitzcarraldo-Kinski, con indosso il suo abito bianco, a scalare con una nave anche una montagna, pur di portare a Manaus, nel cuore della foresta amazzonica, un teatro dell’opera. In un racconto dello scrittore brasiliano João Guimãraes Rosa dal titolo La terza sponda del fiume, un vecchio contadino, a un certo punto della vita, decide di lasciare la famiglia, la casa e la terra per andare a vivere, a bordo di una semplice canoa, nel bel mezzo del fiume. Il contadino, per ragioni mai spiegate dall’autore, sceglie di sistemarsi in una specie di eremo fluviale da dove non si vede «la forma dell’altra riva».

IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)

Viaggiare a bordo di un battello sul Rio delle Amazzoni, corso d’acqua dalle dimensioni immani, fa pensare alla scelta di quell’uomo. Non sempre però ci si sente adeguati a quel compito. Nel 1927, Mario de Andreade, poeta e musicologo paulista, risalì il fiume dalla immensa foce fino alle sorgenti, alla ricerca delle danze, dei canti afrobrasiliani e delle antiche litanie. Si ritrovò davanti a qualcosa che forse non s’aspettava. Certo era un viaggiatore particolare. Nei resoconti, poi pubblicati sul Diario Nacional, si autodefiniva un «antiviaggiatore, uno che viaggia sempre malandato, allarmato, incompleto, sempre a immaginarsi sgradito all’ambiente estraneo che percorre». Ma l’inadeguatezza non dipendeva solo da lui. Lì, davanti al Grande Rio, ciascuno è incompleto.

Da Belém le navi si muovono sulla baia di Guajará e Marajó. Sul Rio ci sono le navi crociera ma anche i recreios, barche regionali che risalgono tutti i fiumi dell’Amazzonia come se fossero autobus. A bordo, quasi tutti i passeggeri stanno distesi sui teli colorati delle amache sospese sul ponte. Qui, poco prima della partenza della crociera fluviale, de Andrade nel suo diario appuntò la descrizione delle ninfee enormi, il fiore più grande del mondo che vive un solo giorno. Alla foce, lì dove gli anaconda arrivano «dalla foresta con il miraggio dell’acqua dolce», vide dispiegarsi l’intero universo animale e vegetale: aironi, mauaris, jequitibás, perobas, pini, platani, «il faccione enorme del baobab», l’aroma del pau-rosa e della macacaporanga, le iereres, i fenicotteri e gli uccelli del paradiso. In quella baraonda non s’accorse neppure della campanella di bordo che annunciava la cena.

Il secondo giorno si scivola sul fiume Pará dove arrivano ancora le maree dell’oceano. Sulla destra sfila la più grande isola deltizia del pianeta: l’isola di Marajó. Il Rio delle Amazzoni non è solo un fiume ma un grande corso d’acqua di seimila e ottocento chilometri in cui continuamente confluiscono maestosi tributari. Il Rio Negro, il Tapajós, il Solimões. Chi sarà stato davvero il primo uomo a viaggiare per intero questo dedalo d’acqua? Un pugno d’indigeni temerari in un’alba a noi sconosciuta? Di certo, il primo degli europei che lo navigò, fino all’Oceano Atlantico, prendeva il nome di Francisco de Orellana. Era il 12 febbraio del 1542 quando vide quel fiume d’acqua dolce incrociare il Napo. Aveva trentun anni ed è probabile che, anche in quegli anni di smodata febbre di conquista, non potesse ancora intuire la misura di quello che lo stava aspettando. Qualche giorno prima, il 26 dicembre, Francisco Pizarro gli aveva chiesto di imbarcarsi per andare in cerca di cibo. Allora, lui aveva disceso il fiume Coca e poi il Napo, ma per giorni e giorni non aveva incontrato alcuna forma di vita. Però otto giorni dopo, quando trovò un villaggio con le vivande di cui aveva bisogno, accadde qualcosa di misterioso: Orellana non portò indietro il cibo a Pizarro. Si dice che siano stati i suoi uomini a rifiutarsi di risalire quelle correnti fortissime. Restano a ogni modo oscuri i pensieri che abitarono la mente di Orellana nel lungo mese che rimase fermo sulla sponda di quel fiume maestoso. Di certo, fece costruire un nuovo brigantino, a cui assegnò il nome di Vittoria, e poi s’immerse in quel fiume-mare per intraprendere quella che può essere immaginata come una mastodontica ritirata. Verso l’oceano. Verso il Portogallo.

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Una specie di diserzione, quella di Orellana, sembra stare così alle origini della scoperta europea del Rio delle Amazzoni. Anche nel racconto di Guimarães Rosa, a un certo punto, il tradimento pare segnare l’esito della storia. Il padre rimane nel bel mezzo del fiume per tanto di quel tempo che la famiglia intera decide di lasciare la casa. L’unico figlio che resta lì, quando il padre invecchia, propone al genitore di sostituirlo ma poi quando il padre avvicina la canoa alla sponda, il giovane fugge.

Il terzo giorno si continua ad attraversare lo stato di Pará e si passa Almerim, Prainha e Monte Alegre. All’alba del quarto giorno di crociera, si arriva a Santarém. A de Andrade qui parve di toccare Venezia «per via dell’hotel ancorato al porto, con la facciata infilata nell’acqua, e finestre a ogiva». Ora è esplosa la febbre della soia e tanti sono i sojeros che pur di sfruttare le ricchezze della terra sono pronti a sottrarre lembi alla foresta. L’incontro degli uomini con una natura maestosa, anche oggi, mette a dura prova la loro etica. Nel pomeriggio, durante la navigazione, dopo che per un lungo tratto si sono fiancheggiati paralleli, il Tapajós, con le sue acque verdi, e il Rio, dalle acque marroni, si fondono in un unico alveo. Ogni volta che il corso di un tributario e quello del Grande Fiume si avvicinano facendo confluire i loro liquidi dai colori ineguali sembra prendere forma l’ibrido che è questa terra. Il Brasile, dice Marcio Sousa, lo scrittore, drammaturgo e documentarista nato a Manaus, è «il frutto di un’unione di paradossi, tra povertà e ricchezza, modernità e arcaismo».
A metà strada, de Andrade sentì la foresta sbattere sulla nave. Vide il primo caimano e poi ancora aironi. Francisco de Orellana invece, secondo i resoconti del frate Gaspar de Carvajal, non poteva fare altro che ascoltare i tamburi remoti che arrivavano dalla profondità delle sponde e immaginare le battaglie che avrebbe dovuto combattere per potere arrivare, ad agosto di quell’anno, ancora vivo fino alla foce sull’oceano. Pure se cruente, le battaglie di Orellana per la sopravvivenza paiono nulla rispetto a quello che avvenne dopo. Su queste sponde, ricorda Javier Reverte, inviato del quotidiano spagnolo El Paìs e autore del libro-reportage El rìo de la desolación, è avvenuta nel tempo una persecuzione senza interruzione, un vero «genocidio». Prima, ci abitavano sei milioni di indios. Ora meno di cinquecentomila.

Al quinto giorno di navigazione sul Rio, si fanno brevi scali a €bidos, Juruti e Parintins. Il fiume entra finalmente in Amazzonia. Qui de Andrade sembrò trovare infine il suo punto di vista di quell’intero mondo fatto d’acqua. Il fiume sembra svelarsi quando nelle sue «mille tonalità del verde impedisce la vista all’orizzonte e ogni cosa si riempie di misteri vivi che si nascondono, laggiù». A ogni istante sente che sta per «realizzarsi la rivelazione, grandiosa, terribile, lì, alla curva del fiume».
Poi la meta. Al sesto giorno, la nave arriva a Manaus. La città, al centro di quella che fu la febbre della gomma, oggi è uno dei porti fluviali più importanti di tutto il Brasile. Se negli anni Sessanta, con le palafitte e i palazzi neoclassici, c’erano solo duecentomila abitanti, oggi qui ci sono oltre un milione e mezzo di uomini e donne. Qui si incontrano il Rio Negro e il Rio Solimões e per chilometri sembrano partorire, ancora una volta, il Rio delle Amazzoni. Al termine del racconto di Guimarães Rosa, il figlio che aveva rifiutato di sostituire il padre torna sui propri passi. Non resiste più a quella tentazione che lo chiama verso le correnti. «Mi prendano, – scrive Guimarães Rosa, – e mi depositino anche me in una canoetta da niente, in quest’acqua, che non si ferma, dalla lunghe sponde: e, io, fiume in giù, fiume fuori, fiume dentro, il fiume». In quel mondo fatto d’acqua che corre e si muta, la terra che, altre volte sta lì, poco distante, a rassicurare e confortare, pare quasi scomparire e il fiume divenire l’intero universo. E, nel momento in cui si cede a quella tentazione, di andare davvero lungo le acque inarrestabili, sembra di riuscire ad accettare, almeno per una volta, che il tempo non faccia altro che passare.

IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)

—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)

L’EBOOK:
—>>>Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza” da Einaudi
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)

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NOVITA’:
Il nuovo libro di Federico Pace, “La libertà viaggia in treno” (Laterza), è in libreria a partire da giugno 2016.