Tra Parigi e Cabourg e la febbre dell’immaginazione

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di FEDERICO PACE

C’è un treno che porta dalla città al mare. Una città che è stata il centro del mondo. E che forse lo è ancora. Il mare è quello del Nord, nel dipartimento di Calvados nella bassa Normandia. Lontano dalle spiagge dorate e dal sole di fuoco del Mediterraneo. Il treno porta sul lungomare, punteggiato da ombrelloni e alberghi, dove ha passeggiato Marcel Proust, l’autore di Alla ricerca del tempo perduto. Andare da Parigi alla Normandia rimanda alle vie percorse dalle prime ferrovie francesi. Nel 1843, quanto s’inaugurarono le linee Parigi-Rouen e Parigi-Orléans, lo scrittore Henrich Heine, per dire della meraviglia delle nuove strade ferrate, scriveva «Alla mia porta scroscia il mare del Nord».

IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)

Tra Parigi e Cabourg, questo il tragitto del treno, ci sono un’infinità di fermate intermedie. Menerville, Breval, Serquigny, La Bonneville-sur-Iton, Bernay. Solo alcune tra le tante. Lungo un viaggio in treno capita che, prima di arrivare a destinazione, il convoglio sosti, a volte a lungo, a volte per un solo istante, in piccole stazioni. Lì, dove sta appena la sembianza di un paese. Per la loro essenzialità, queste stazioni, si direbbero quasi delle messe in scena di stazione. Un cartello con il nome del paese, un paio di panchine, un uomo o una donna con una valigia, due binari allineati. Poco fuori s’intravedono appena delle case raggruppate in fondo alla strada.

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Alle volte, mentre tutti stanno, nello scompartimento, assorti nei loro pensieri, si sente la lunga frenata del treno, lo stridere delle ruote contro le rotaie, l’arrestarsi improvviso, il rimestare dei vagoni che si toccano come organi di un solo corpo, e poi qualche voce che pronuncia parole in una lingua che non conosciamo. Allora guardiamo fuori. In quel riverbero scorgiamo una donna che sta seduta su una panchina e ci pare di scorgere nel suo volto una malinconia sconosciuta.

È in quei momenti che proviamo una specie di vertigine. Una sensazione che non sappiamo bene spiegare. Forse è stata appena abbandonata da un uomo, o piange la morte di una madre, o ha perduto il treno e le scoccia stare lì ad aspettare. Forse le piace solo vedere i treni passare. Qualcuno s’avvicina al convoglio con una borsa a tracolla. Stiamo ancora qualche istante a guardare. E poi, proprio quando la catena di vagoni prende a sussultare e a muoversi lentamente e a staccarsi dalla banchina, proprio in quell’istante, s’acuisce quell’inattesa sensazione: uno struggimento che non ci capita di provare neppure quando abbiamo lasciato la stazione di partenza.

In quel momento è come se vivessimo, in un solo istante, tre destini: quello di chi riprende il viaggio; quello della donna che rimane a vedere i treni passare; e quello di chi decide all’improvviso di scendere e iniziare una nuova vita in quel luogo sconosciuto. Tante sono state le volte che Marcel Proust ha fatto questo viaggio. Nelle pagine di All’ombra delle fanciulle in fiore, Cabourg diventa Balbec.

Marcel durante quel viaggio è insofferente. Corre da un finestrino all’altro per catturare e mettere insieme le immagini del cielo e quelle di un paese che si sovrappongono per colpa di una curva. Dal finestrino si vede ora una cosa, ora un’altra. Il treno corre veloce. Lui vorrebbe più tempo per stare a osservare quel cielo che da notte si fa giorno.

Poi arrivano a una piccola stazione stretta tra due montagne. Qui vede una ragazza uscire da una casa cantoniera. La giovane donna porta con sé una brocca di latte. «Quella bella ragazza, – scrive Proust, – che ancora scorgevo mentre il treno accelerava l’andatura, era come una parte d’una vita diversa da quella che conoscevo, separata da essa da un orlo, e dove le sensazioni che gli oggetti destavano non erano più le stesse; e uscirne, ora, sarebbe stato come morire a me stesso. Per aver la dolcezza di sentirmi almeno legato a quella vita, sarebbe stato sufficiente abitare abbastanza vicino alla piccola stazione da poter venire ogni mattina a chiedere il caffellatte alla contadina. Ma, ahimè, la fanciulla sarebbe stata sempre assente da quell’altra vita verso cui me ne andavo di minuto in minuto più in fretta, e che mi rassegnavo ad accettare solo architettando piani che mi permettessero un giorno di riprendere lo stesso treno e di fermarmi alla stessa stazione…» Forse, tutte quelle sensazioni vengono solo perché durante un viaggio proviamo una specie di febbre. Proust ammette che di solito viviamo la nostra vita «con il nostro essere ridotto al minimo» ma che in quel mattino sul treno tutte le facoltà erano accorse a sostituire la sua natura sedentaria. «Dalla più bassa alla più nobile, dalla respirazione, dall’appetito e dalla circolazione sanguigna sino alla sensibilità e all’immaginazione».

Oggi per arrivare a Cabourg, dice l’addetta dell’ufficio turismo di Parigi, si deve cambiare treno. Ricordate, ripete la donna dall’altro lato del bancone, di scendere alla fermata di Deauville. Lo ripete due o tre volte. Pare quasi che voglia dire qualcos’altro. Forse anche alla stazione di Deauville, c’è una donna seduta su una panchina a veder passare i treni.

IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)

—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)

L’EBOOK:
—>>>Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza” da Einaudi
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)

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NOVITA’:
Il nuovo libro di Federico Pace, “La libertà viaggia in treno” (Laterza), è in libreria a partire da giugno 2016.