Verso Campo Imperatore e i monti lunari

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di FEDERICO PACE

L’amico che mi ospita la sera prima di partire dall’Aquila, mi racconta la storia dell’avvocato e dei sette cinghiali. “E’ successo nell’ottobre scorso, li ha incontrati per strada in periferia, se li è ritrovati di fronte, proprio nel mezzo della notte, stava tornando a casa in macchina tutto solo… E ecco lì, sette cinghiali davanti a lui”. All’avvocato sembra non sia successo nulla di grave, qualche graffio per colpa della sterzata improvvisa, ma si può immaginare lo spavento. Quando si ha a che fare con l’Abruzzo, qualche che sia l’interlocutore, viene sempre fuori l’aspetto selvatico della natura: le altitudini, i luoghi impervi, i lupi, persino gli orsi. Al mattino è freddo e quando comincio a percorrere la statale 17 bis, una delle vie italiane meno battute, mi sento quasi un pioniere o un astronauta. E’ l’avvicinarsi dell’inverno, come nei viaggi di un tempo, a farmi mettere in movimento prima che arrivi il vero gelo e la neve. Le chiome degli alberi sono gialle, rosse e arancio e le strade parlano già la lingua della montagna: tutte curve e giravolte. In distanza pare di vedere il profilo ossuto del Gran Sasso. Rare le vetture che vengono incontro.

IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“Strade d’Italia. 40 strade d’autore” (Touring)

—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)

Alla frazione di Tempera, i prefabbricati, le abitazioni del dopo sisma e le case ancora in costruzione ricordano che questa terra, aspra e meravigliosa, è spesso aggredita dal terremoto e dall’incuria di chi dovrebbe invece pianificare un’edilizia adeguata al territorio. Ai balconi vuoti non si affaccia nessuno e non ci sono panni stesi o bimbi a giocare. Si passa, ma ci si porta dietro i pensieri. Si va verso la funivia, la strada sale e si fa stretta. A Paganica, scorrono i muri bianchi delle case erose dal vento. Si sale verso nord, nello splendore austero della natura della vallata; è allora che appare in un attimo la bellissima chiesa di Santa Madonna d’Appari, anche lei colpita dal terremoto e poi restaurata. L’Abruzzo, si capisce da subito, è montagna, ma anche cristianità e religione. Tra curve e abeti, sempre ingranando marce basse: il limite di corsa oraria qui è di trenta chilometri orari. Su di un cartello la scritta stinta: “Ti ferma o pasegger ti prego bevi, ti sentirai le membra tutte lievi…”. C’era una fonte, ma ora non c’è più. A Assergi, dove è nato Giovanni Acitelli, secondo molti “l’unica vera guida che il nostro Appennino abbia mai avuto”, la catena montuosa più alta degli appennini continentali si fa più visibile. Qui freddo e pioggia. D’altronde è novembre il mese più piovoso da queste parti. Siamo entrati nel parco nazionale e sul ciglio della strada, in questa stagione, gli alberi spogli lasciano vedere l’intero paesaggio delle montagne. Una vera ricchezza. Nei centocinquantamila ettari del parco ci sono i massicci del Gran Sasso e dei Monti della Laga, i prati a pascolo della transumanza, i geometrici orti fluviali, i boschi di faggio, ciliegio selvatico, acero di monte e abete bianco. La strada diventa quasi a quattro corsie, il cartello stradale dice che il passaggio per Campo Imperatore è aperto. E’ a questo punto che la strada piega verso ovest e si muove lasciando a nord, e sulla destra, la catena montuosa. Dopo una curva a gomito, trovo Fonte Cerreto, gli alberghi e i punti ristoro. Da qui parte la funivia che d’inverno diventa l’unica via di accesso all’altipiano. La gente che passeggia e l’aria ventosa e pulita, siamo già a 1120 metri di altezza.

Si sale con decisione, tante giravolte e poi Campo Imperatore. Altipiani e vallate sopra i mille ottocento metri, sono gli spazi di aquile e falchi. Basta tirare giù il finestrino per capire qual è uno dei tesori più preziosi di queste terre. Giorgio Manganelli, nella relazione di viaggio pubblicata sul Messaggero del 2 luglio del 1987: descriveva così l’aria di Abruzzo: “iraconda, severa, direi sdegnosa… nutrita di rupi e sassi, di radure e di boschi, di laghi e ruscelli e torrenti e fiumi”. Spengo anche la radio, l’Abruzzo, si dice, è “creatore di silenzio”. Mi perdo per un po’ nella vertigine del pensiero che proprio in questo momento, nei laboratori scientifici sotto questa catena montuosa, sono al lavoro gli uomini che studiano i segreti della fisica delle particelle. A seguirmi fin qui si azzarda solo qualche motociclista. Poi la svolta per Santo Stefano di Sessanino. Questo spazio dal sapore metafisico, Guido Ceronetti lo ha descritto come “un fantastico deserto di monti atlantici e lunari, sommersi”. Scorrono Monte Prena e Monte Camicia. Ci sono curve ampie e ascensioni, poi di nuovo lunghi rettilinei e infine la svolta verso Castel del Monte. Il ristoro Mucciante è chiuso e nessuno siede alle sue panche in legno. D’estate qui è pieno di gente anche se fa quasi sempre freddo e la temperatura media annua si ferma intorno ai tre gradi. Da qui la strada piega verso sud e si scende. Si passa tra dense macchie verde-scuro di abeti e rocce grigie. Poi si sale di nuovo fino ai 1600 metri del valico di Capo la Serra. Quando si scende, le prime case che si incontrano sembrano incongrue come non lo sono mai state.

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Arrivo a Ofena dopo tante curve, che chiamano “revote”. Siamo a meno di seicento metri sul mare e i fiori dei mandorli dormono ancora sui rami neri. In primavera, nella piana che va verso Navelli e Capestrano, daranno lo spettacolo più bello che si possa vedere. In una casa di questo paese, dove era nata mia nonna, ho trascorso le estati dell’infanzia. Forse è anche per questo sto facendo questo viaggio. Questo paese antichissimo è stato di pastori transumanti lungo la via tratturale che va dall’Aquila a Foggia. Il tempo della modernità è arrivato pure qui e ai portoncini di legno, nessuno lascia più le chiavi appese fuori la serratura. Quasi in ogni paese si ha la sensazione di assistere a un Abruzzo moderno che attraversa un Abruzzo antico. Risalgo allora verso Forca di Penne. E’ da queste parti, che mi portava a camminare mio padre. Pareva saremmo rimasti sempre così: io dietro con i miei pantaloncini corti e lui davanti a petto nudo. Le rocche, le erbe e i profumi anche d’inverno: questo è quello che ti dà l’Abruzzo. Questo maltempo, questo inverno, questo freddo, non ti incupisce, piuttosto ti tonifica. Il fumo di qualche fuoco o camino in lontananza. Al Passo di Forca di Penne siamo a oltre novecento metri, è da qui che passavano i pastori con le loro greggi. Seguo le indicazioni verso Corvara. Si sale ancora tortuosamente e poi si scende. Sbaglio un paio di svolte e mi fermo a chiedere a una signora. La provinciale 25 è tutta una tortuosità stradale tra monti, uliveti e canne insecchite al vento. Fino a Pietranico non incontro nessuno.

Nella provincia di Pescara e a Torre de’ Passeri, si respira un’aria quasi marina e il clima diventa più dolce. Passo per Tocco da Casauria e poi la provinciale 68. Si sale verso Musellaro e poi Salle. Prendo la statale 487 per entrare nella parte nord occidentale del Parco della Maiella. Molti dei viandanti di un tempo hanno scritto come fosse difficile spostarsi in questa regione: i valichi spesso molto elevati e impraticabili per interi periodi dell’anno, le pendenze ingrate, l’assistenza ai viaggiatori quasi inesistente. Ora le cose sono in parte cambiate, ma mi viene da pensare che andare in Abruzzo, ancora oggi, sia prima di ogni cosa un “avventurarsi”. Verso Caramanico Terme, le Montagne del Morrone a destra, verso sud ovest, e i Monti della Maiella. Ecco la riserva naturale della valle dell’Orfento: boschi di faggio, eremi nella roccia, canyon e cascate, querce e faggi nell’alveo del corso d’acqua dalle acque abbondanti che ha scavato forre profonde nella roccia. Poi Sant’Eufemia a Maiella con le sue case chiare. Ecco di nuovo lo stupore e la meraviglia per quel che si vede: il Monte Amaro, la vetta più alta e seconda sola al Gran Sasso, scorre alla nostra destra mentre andiamo verso sud. In una curva, vedo per la prima volta un cartello stradale che vieta di superare i dieci chilometri orari. Il paesaggio pare rarefarsi, ridursi, distillarsi, come l’aria. Al passo di San Leonardo sono quasi mille e trecento metri di altitudine. Subito dopo la curva del passo, quando la strada riprende per un po’ rettilineo c’è forse uno dei paesaggi più struggenti che si possano vedere in Italia: la Maiella nella sua pomeridiana bellezza e le distese dei pascoli di pecore e mucche. La cosa migliore è arrivare qui quando il sole ha già superato il suo apice e piega verso Monte Morrone e placidamente illumina con i suoi raggi tutta l’estensione dei rilievi montuosi. Quando ci si muove di nuovo, si comincia a scendere verso Pacentro e Sulmona, si va verso gli spazi dell’Abruzzo in cui regna il clima mediterraneo. Mi serve una notte per dormire.

Al mattino però sono di nuovo in viaggio sulla statale 479 che corre nella Valle Peligna, una piana dolce e serena che para adatta alle prime ore del giorno. Si sale e si scende dolcemente. Si dice che l’Abruzzo non abbia un carattere unitario ma che possa essere pensato quasi come diviso in diversi “cantoni”. Tra la vallata di Sulmona, l’altipiano aquilano, la conca del Fucino, per transitarvi si passa attraverso dislivelli e ostacoli naturali che a Ignazio Silone parevano “certe frontiere fra gli Stati”. La strada allora si muove sinuosamente intorno al Monte Prezza e si comincia a salire. Le sorgenti di Cavuto, Anversa degli Abruzzi e poi Casale. Sfilano i piloni e le pale del parco eolico, chissà per cosa gli avrebbe scambiati Don Chisciotte. Monte di Selva e la breve galleria al Valico Olmo di Bobbi a oltre mille e duecento metri di altitudine. Ora si scende di nuovo lungo tornanti e curve a gomito e verso la Marsica. Si passa Pescina: via Romolo Tranquilli, piazza Mazzarino e infine ecco via Silone. Qui tutto sembra prendere il nome dell’autore dalla prosa schietta e asciutta: il Bar Silone che offre “Panini e Aperitivi” e perfino una pasticceria chiamata Fontamara. Poi la statale 83, la Marsicana verso sud. Scorre a destra la Piana del Fucino, dove prima c’era il grande lago carsico. A sinistra, verso est, il Parasano e il Tricella. Bietole da zucchero, patate, grano e legumi sono le coltivazioni. La cosa più bella da vedere, però, sono i monti della Marsica. Si passa Venere e il paesaggio si fa selvatico e la strada procede con grandi rettilinei. Si entra a Gioia dei Marsi. La strada in salita poi abbandona la Piana del Fucino e si inoltra nelle montagne. Riprendono le curve e siamo già a mille e trecento metri: ecco il parco nazionale d’Abruzzo, Molise e Lazio.

Costeggiamo un’abetaia, poi Gioia dei Marsi Vecchio, poche case e tanto silenzio. Una bellezza struggente e solitaria. Arriviamo a Pescasseroli costeggiando il fiume Sangro, poi di nuovo verso sud con davanti i Monti della Meta. Qui anche il rifornitore di benzina è pulito e ordinato. Si sale verso Opi lungo la statale 509 fino a Forca d’Acero oltre mille e cinquecento metri. Si entra dentro una faggeta secolare, dove la luce traspare appena e pare di essere in un altro tempo e in un altrove da sogno. Il passaggio nell’ombra di questi faggi è il modo migliore per dire addio e lasciarsi alle spalle il parco e il paesaggio d’Abruzzo. Scendo con molta cautela fino a quando si apre la valle. La strada è panoramica e prima ancora di raggiungere San Donato Val di Comino lascia vedere paesaggi molto belli. Una curva strettissima, le rocce e i faggi. A S.Donato, quando ormai siamo già nel Lazio, mi rendo conto che in pochi chilometri ho superato un dislivello di oltre settecento metri. I platani, le case bianche e i vasi di gerani alle finestre e le stradine che salgono in su e in giù. L’ufficio postale, il caffè Europa, la piazzetta con il monumento ai caduti e la trattoria. E’ l’ultimo paese di montagna che incontro in questo viaggio che si conclude a Cassino. Forse è per questo che mi fermo per qualche minuto, a assaporare ancora quest’aria “nutrita di rupi e sassi, di radure e di boschi”.

IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“Strade d’Italia. 40 strade d’autore” (Touring)

—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)

GLI EBOOK:
—>>>Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza” da Einaudi
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)

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NOVITA’:
Il nuovo libro di Federico Pace, “La libertà viaggia in treno” (Laterza), è in libreria a partire da giugno 2016.