Da Pechino fino al Tibet

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di FEDERICO PACE

Durante un lungo viaggio, accade di gettare lo sguardo, per un solo istante, alla foto di chi ci è caro. La sbirciamo appena. Solo un’occhiata, mentre l’immagine rimane, celata agli altri, tra le pieghe del portafoglio. Per un solo istante, così, ci capita di ritrovare la piega della bocca, la linea degli occhi, il sorriso che s’apre sereno. Quell’atto, quell’immagine ha su noi, allo stesso tempo, un duplice effetto. Quello di accorciare e di allungare, d’improvviso, in un lampo vorticoso, la distanza che ci separa dal luogo da cui siamo partiti e dove viviamo con la persona ritratta. Quando guardiamo quel volto che ci è familiare, mentre intorno a noi scorrono dal finestrino rapidi paesaggi di una terra sconosciuta, quel viso ci riporta a un passo da casa. Esso fa riemergere, quasi per sortilegio, il luogo e le persone cui apparteniamo e ce ne sentiamo, pure così distanti, di nuovo parte. Allo stesso tempo, quell’immagine, nella sua incorporea impalpabilità, in quella fantasmatica presenza di persona che sta davanti a noi e invece non c’è e non si può toccare, sancisce da essa la nostra distanza remota. Quasi definitiva. Invalicabile.

IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)

Ci sono distanze che paiono difficilmente colmabili. Ci sono luoghi che per lungo tempo sono stati remoti. Ma la ferrovia, come un serpente che cresce senza posa, nonostante la sua apparente vecchiezza, colma, infine, ogni separazione. Si allunga e si ramifica fino a raggiungere i capillari più remoti del pianeta. Dal 1° luglio del 2006, il treno che porta da Pechino fino alla capitale del Tibet, Lhasa, quello che è stato a lungo il sogno irrealizzabile di Mao Zedong, è divenuto realtà. È un convoglio che utilizza i più evoluti marchingegni. Viaggia per lunghi tratti sul permafrost, il suolo permanentemente gelato, ha finestrini che filtrano i raggi ultravioletti e un complesso sistema che regola il livello d’ossigeno all’interno delle carrozze. Il treno, spinto da tre locomotive, passa per il punto più elevato mai raggiunto da una ferrovia: il Tanggula Pass a 5231 metri. I primi lavori per la ferrovia verso il Tibet risalgono al 1956. Ci vollero trent’anni per ultimare il tratto di tremila chilometri che portava da Pechino fino a Golmund, la capitale della regione dello Qinghai. Ma è l’ultimo tratto, quello lungo più di mille chilometri, che da Golmund conduce a Lhasa, ad avere aperto la strada verso il Tibet. Le autorità cinesi lo considerano lo strumento per legare il Tibet alla Cina in maniera indissolubile. Dai tibetani, è visto come un macchinario che porta l’invasiva modernità in quello spazio rarefatto che è il loro mondo.

Per coprire l’intero percorso s’impiegano due giorni. La ferrovia attraversa l’altopiano himalayano e per 960 chilometri viaggia a oltre quattromila metri d’altezza. Bruno Philip, il reporter e corrispondente in Cina di «Le Monde», ha raccontato che il capo di Stato cinese Hu Jintao ha ammirato la meraviglia senza però salirci a bordo. Da Golmund, scrive Philip, «il treno si tuffa in una vasta steppa battuta dai venti prima di attraversare le grandi valli con un paesaggio roccioso, maestoso con le montagne color ocra. Un centinaio di chilometri più a Sud si è già a 4 mila metri di altitudine e il paesaggio cambia: il treno passa ai piedi delle montagne innevate di Kunlun, la formidabile barriera oltre la quale comincia l’altopiano tibetano». Tra i primi viaggiatori c’è stato anche un testimone particolare: lo scrittore indiano Pankai Mishra, appassionato di treni e figlio di un addetto delle ferrovie del suo paese. Mishra proviene proprio da quel gigante dall’economia emergente, come è la Cina, dove, dal 1959, il Dalai Lama è stato costretto a vivere in esilio. Lo scrittore pare quasi spaventato dalla presenza, all’interno di ciascuna cabina, di una specie di bombola d’ossigeno. Il treno d’altronde supera un dislivello impressionante e nelle altezze del Tibet l’ossigeno è una risorsa rara. I cinesi, per aumentare la percentuale del prezioso elemento chimico, hanno piantato migliaia di alberi nella valle di Lhasa, ma i problemi respiratori, per chi non è di queste parti, sono rimasti.

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Una volta a Lhasa, Mishra racconta di avere incontrato un agricoltore tibetano. Il giovane gli ha mostrato la casa della sua vecchia famiglia, il cortile, le mucche mentre vengono munte, un salone con una tv e un frigorifero. «Tutta questa vita ce la siamo creata senza l’aiuto dei cinesi» gli ha detto a un certo punto il giovane. Ora il treno che avvicina le due città mette in discussione tutto questo. E anche queste due civiltà, sproporzionatamente diverse, si trovano sempre più a confronto.

Nella stanza della casa del contadino c’è un poster del presidente cinese. Ma nel chiuso di un armadio, assicura il giovane, sta nascosta l’immagine proibita del Dalai Lama esiliato in India. A un viaggiatore pare possibile di intuire quale sarà la sensazione del contadino quando, di nascosto, potrà gettare, non visto, per un solo istante, uno sguardo all’immagine preziosa.

IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)

—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)

L’EBOOK:
—>>>Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza” da Einaudi
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)

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NOVITA’:
Il nuovo libro di Federico Pace, “La libertà viaggia in treno” (Laterza), è in libreria a partire da giugno 2016.