Le Americhe in quel mondo di isole

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di FEDERICO PACE

Nel momento in cui la nave si stacca dal porto con la lentezza di un maestoso mammifero d’acciaio e le giunture stridono di una natura che pare inumana, si resta, quasi per un sortilegio, ancora per un po’ a guardare la terra. Si rimane, pure sulla soglia d’una traversata oceanica, con le spalle alla distesa d’acqua che attende. Forse perché, quel grande universo appare infinito. Forse perché si ha sempre l’idea di aver dimenticato qualcosa. O perché, proprio in quell’istante, sembra si stia perdendo l’ultima occasione per riuscire a comprendere un enigma. Sul confine di quella partenza, si ha la sensazione che qualcosa, più che per avere inizio, stia per avere termine. Lo sguardo così rimane indietro, come se si potesse scorgere, prima dello scomparire della terra, l’elemento che rimane celato. Si salpa alle sedici dal porto di Genova per affrontare l’Oceano Atlantico. La nave va verso ovest. Prima facendosi avanti quasi timidamente e toccando Marsiglia e Barcellona. Come se si trattasse di prendere una sorta di rincorsa prima di entrare in quella distesa d’acqua di oltre cento milioni di chilometri quadrati. Il grande vuoto, lo spazio assoluto. Il cielo e il mare. I bacini profondi, le invisibili piane abissali, le montagne sommerse e le lunghissime dorsali oceaniche.

IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)

Lungo questo sentiero invisibile si avvia, quasi controvoglia, anche uno scrittore nato sulle coste africane di Orano. Albert Camus, allora quarantottenne, salpa da Marsiglia a bordo della Campana il 30 giugno del 1949. Lo aspettava un giro di conferenze nell’America Latina. Quando parte, nella città costiera francese c’è un caldo torrido e un vento che taglia la faccia. Aspetta la partenza passeggiando avanti e indietro lungo i ponti e i corridoi. È nel pieno di una crisi creativa. La natura gli sembra ostile. E la nave non è da meno. La cabina singola in prima classe. Prova vergogna nel vedere i passeggeri di quarta classe sistemati in cuccette strettissime nell’interponte.

Oggi, con le navi da crociera, si esce dallo Stretto di Gibilterra dopo quattro giorni di navigazione nel Mediterraneo. Superate le antiche Colonne d’Ercole, si attracca a Lisbona e poi a Funchal nell’isola di Madeira. Alle Canarie, a Tenerife, si giunge al settimo giorno di viaggio. Fin qui, si direbbe quasi la strada di Cristoforo Colombo che, il 3 agosto del 1492 alle otto del mattino, scriveva nel suo diario di bordo: «Andammo, con una forte brezza di mare, fino al tramonto verso Sud, per 60 miglia, cioè 15 leghe; poi verso Sud-Ovest e verso Sud, quarta di Sud-Ovest, che era la rotta per le Canarie». Da qui, quel navigatore ostinato incontrò venti leggeri e si diresse, pensando di andare verso le Indie, verso il mare Caraibico compreso tra l’arco delle Antille e le coste dell’America centrale. Le tratte moderne da qui in poi procedono costeggiando ancora lungo la costa dell’Africa per oltrepassare il Tropico del Cancro. Quando Camus fece scalo a Dakar, per quella sua Africa che odora di miseria e di abbandono, appuntò due aggettivi: «triste e corrotta».

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Da lì in poi la nave prende ad andare più veloce e arriva a una media di diciannove nodi. Non molto in verità. La densità dell’acqua esercita una resistenza e un frenaggio sullo scafo di un battello che lo rallenta più di quanto non faccia l’aria sulle automobili e sugli aerei. In un secolo la velocità di una nave atlantica è appena raddoppiata. Lo spazio è infinito e i riferimenti, almeno per chi non è un marinaio, paiono inafferrabili. La profondità media supera i tremila metri e può arrivare fino a quasi diecimila. Per il filosofo russo Michail Bachtin, la «nave è un instabile frammento di terraferma su cui gli esseri umani si avventurano negli inospitali territori oceanici».

La traversata senza riferimenti dura cinque giorni di navigazione ininterrotta. Anche l’antropologo Claude Lévi-Strauss, che fece per la prima volta la stessa traversata nel febbraio del 1934, parve perdersi di fronte a quella vastità dove nulla pare essere più simile a «uno spostamento geometrico che una traversata in alto mare. Nessun punto di riferimento per rendersi conto del lento transito lungo le latitudini, del superamento delle isoterme delle curve pluviometriche». Non resta che pensare ai riferimenti cartografici. Si arriva al Pot au Noir, ovvero la zona delle convergenze tropicali vicino all’equatore dove si scontrano gli alisei del Sud e del Nord. In questa fossa nera dall’aria pesante, in questa bonaccia in cui i due mondi stanno l’uno di fronte all’altro, l’antropologo immagina di vedere «l’ultima barriera mistica» che un tempo separava due pianeti opposti, «le condizioni dei quali erano così diverse che i primi testimoni stentarono a crederle ugualmente umane». Alla fine, quando anche il giorno è esausto, si arriva a sentire una specie di respiro e a trovare un po’ di sollievo. «Soddisfazione e quiete, – appunta ancora Lévi-Strauss, – direi quasi la placida felicità che, nel cuore della notte, viene dalla percezione smorzata della pressione delle macchine e dal frusciare dell’acque contro la chiglia».

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Poi, infine arriva la terra. La terra, dopo averla perduta troppi giorni prima, riappare quasi mutata dopo tutto quello spazio muto d’azzurro. Diversa e quasi irriconoscibile. Come una donna che, dopo una sera in cui ci ha confidato quasi ogni segreto lasciandosi scrutare sino nel fondo, il giorno dopo ricompare, dimentica di noi, al di là della strada con indosso un abito dai colori accessi e con degli occhiali scuri che le celano lo sguardo. Si attracca a Recife al tredicesimo giorno di viaggio, poi Maceió e Salvador. Poi Rio de Janeiro. Quando Camus approda nella rada, finalmente, seppure per un breve istante, viene sedotto dalla luce di quell’altro mondo. Le montagne «formano un cerchio quasi perfetto intorno a noi», il sole sorge deciso e «la ricchezza e la sontuosità dei colori che si rincorrono allora tra la baia, le montagne e il cielo, fanno ammutolire tutti, per una volta ancora. Un minuto dopo, i colori sembrano gli stessi, ma più da cartolina. La natura ha orrore dei miracoli troppo lunghi». Una volta arrivato a Rio, Claude Lévi-Strauss proseguì poi per San Paolo per assumere l’incarico di giovane docente universitario nell’università voluta da Georges Dumas. Da lì sarebbe iniziata la sua avventura. In quei «tristi tropici», in quel mondo che si era ritrovato in balia dell’avidità degli europei di un tempo, in quel mondo che a partire da Colombo mise a dura prova l’etica e la morale degli europei come forse mai era avvenuto, lui avrebbe scoperto la nera schiena dei petali colorati del Brasile.

Cristoforo Colombo, che si era arenato in quel mondo di isole tra le due Americhe, non riuscì quasi a mettere mai piede su quel grande continente. Dopo quella prima grande impresa, tornò nel Nuovo Mondo altre tre volte. Al momento del suo ultimo ritorno, in cui la nave si staccò per l’ultima volta dalle coste di Santo Domingo, quando il vento nelle vele quadrate mosse le caravelle, è facile immaginarlo rimanere a lungo, con grande struggimento, a rimirare quella terra. Alla ricerca di quel dettaglio che gli era sempre sfuggito e che, al di là dell’oceano, nell’Europa che l’attendeva, non avrebbe mai più recuperato.

IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)

—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)

L’EBOOK:
—>>>Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza” da Einaudi
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)

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NOVITA’:
Il nuovo libro di Federico Pace, “La libertà viaggia in treno” (Laterza), è in libreria a partire da giugno 2016.