Gli incontri fortuiti sul treno e lo stupore per l’inatteso
di FEDERICO PACE
Per lo più si tratta di incontri fortuiti. Nati da quella scintilla accesa dall’urto di spalla contro spalla. Negli esigui spazi concessi dall’avarizia di un corridoio. O all’uscita dallo scompartimento. Quando, lo scivolare di una porta a vetri svela d’improvviso un volto a pochi centimetri da noi. Alle volte si offre un aiuto per sollevare un bagaglio che pesa troppo. Altre volte non si sa neppure come si sia iniziato. Si sta lì a parlare e basta. Quando si sale su di un treno capita spesso di avere quella sensazione che possa sempre, da un momento all’altro, succedere qualcosa di inatteso. Si prova come un presagio o un sentore remoto. Quando si sta su di un treno, pare di provare quel che s’agitava dentro di noi quando si entrava a scuola nel primo giorno dell’anno. Dopo aver percorso il lungo corridoio, ci si andava a sedere in aula e tra i banchi si cercava di sbirciare il volto dei compagni e delle compagne prima ancora che arrivasse la maestra. In quegli attimi provavamo ad assaporare, in quelle mattine sperdute con le mani sopra ai banchi di formica, una traccia del tempo che sarebbe venuto. Ogni fermata, ogni vagone, ogni compagna di viaggio che salirà, pare poter portare con sé quella «miccia verde» che il poeta Dylan Thomas sentiva spingere dentro a ogni pianta nel tempo della primavera. Così, si sta seduti, in attesa di scorgere il volto che ci si siederà accanto o di fronte. Si sta in attesa di ascoltare le prime parole che pronuncerà. Se la voce di quel volto, appena intravisto, sarà sospettosa, aperta o cristallina.
IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
Il treno, il Cardinal dell’Amtrak, parte da New York poco prima delle sette del mattino, attraversa la Pennsylvania e scende verso lo stato di Washington. I vagoni sono dei superliner: affusolati, argentei e dai finestrini molto ampi. Nella impalpabile realtà della finzione filmica (Intrigo internazionale di Alfred Hitchcock), Cary Grant e Eve Marie Saint percorsero questo viaggio, a bordo del 20th Century Limited. Un treno trascinato da una specie di superstar delle locomotive, una macchina disegnata sotto l’influenza dell’Art Déco. Un missile nero con un fanale sul naso. I due si conobbero andando a sbattere l’uno contro l’altra nelle strettezze di un corridoio del treno. Lì, in quello spazio fatto di ferrovie e celluloide, Cary Grant era Roger Thornill, un uomo ricercato dalla polizia, e su quel rapido per Chicago aveva trovato l’unica via di fuga possibile. Grant aveva attraversato la maestosa hall della stazione con un paio di occhiali scuri. Non era riuscito a comperare il biglietto per la cabina letto, perché l’addetto allo sportello l’aveva riconosciuto e aveva dato l’allarme. Grant, d’un balzo, aveva però trovato il modo di salire lo stesso sul convoglio. Lungo il corridoio s’era imbattuto casualmente, così aveva creduto, nella giovane bellezza dai capelli d’oro. L’urto di spalla contro spalla. Il rimbalzo degli sguardi. Lei, sul ballatoio, su quel treno ancora fermo, s’era proposta di nasconderlo per qualche istante. A lui era esplosa dentro la gioia di chi trova un tesoro senza neppure aver dato uno sguardo alla mappa. Poi, i due, si erano separati.
Dalla pianura costiera il treno attraversa la Virginia e sale verso i sistemi montuosi dei Blu Ridge. A Charleston, nel West Virginia, il treno arriva verso le otto di sera del primo giorno di viaggio. Grant e la Saint si incontrano di nuovo al vagone ristorante. Quella donna, verso cui lui si avvicinava meravigliato e senza sospetto alcuno, gli aveva consigliato di prendere una trota all’agro. S’era presentata con falso nome, aveva detto d’essere «Eva Kendall, 26 anni, nubile». Di certo su di un treno a chiederti un documento è solo il controllore quando varchi un confine. L’altro, la persona che ti incontra sta appesa alle tue parole e ti crede. O ti vuol credere. Lui s’era gettato e aveva detto: «La inviterei nella mia cabina se ne avessi una. Non ho nemmeno un biglietto». E lei aveva fatto il passo più grande che c’era da fare. L’aveva invitato nella sua. A Cincinnati in Ohio si arriva all’una di notte e a Indianapolis si passa alle prime luci dell’alba. E così lui si era ritrovato dentro la cabina di lei. S’era dovuto accontentare di rimanere strizzato per un po’ dentro la cuccetta chiusa mentre la polizia passava a controllare. Poi, quando ancora stava lì sopra, le aveva chiesto perché faceva tanto per lui. C’è sempre un po’ di stupore quando l’altra ti offre tanto di sé e tu, ancora, hai dato poco o nulla. Pure in treno. Pure in un film. Lei allora lo aveva accolto con un bacio. Lui, poi, quando ancora era perduto nello sguardo di lei, aveva promesso a voce alta: «Non viaggerò più in aereo». Seppure il treno non è quello di una volta, lungo i corridoi, pure fuori dallo spazio delimitato dalla celluloide, accade ancora di urtarsi spalla contro spalla.
IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
GLI EBOOK:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza” da Einaudi
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
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NOVITA’:
Il nuovo libro di Federico Pace, “La libertà viaggia in treno” (Laterza), è in libreria a partire da giugno 2016.