Da Praga a Mosca, la vita sul treno
di FEDERICO PACE
In un viaggio che dura più di un giorno si ha la sensazione che si condensi in quel tempo una vita intera. Per gli incontri che si fanno. Per quel che accade. E ogni cosa pare preziosa. Necessaria. Tutto sembra imprimersi nella mente e se ne conserva il ricordo più chiaramente di qualsiasi altro avvenimento. Ciascuna emozione si infilza nel corpo quasi come fosse una freccia. Allo stesso tempo, quando in uno scompartimento ascoltiamo delle lingue sconosciute ci pare di provare una specie di sollievo. «L’agglomerato frusciante d’una lingua sconosciuta, – scrive Roland Barthes, – costituisce una deliziosa protezione, avviluppa lo straniero (per poco che il paese non gli sia ostile) in una pellicola sonora che trattiene alle soglie delle sue orecchie tutte le alienazioni della lingua materna».
IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
Per andare da Praga a Mosca oggi si impiegano circa 30 ore. Qui le parole sono un mistero per le orecchie, qualcosa di insondabile. Si parte la sera verso le undici e si arriva due giorni dopo a Mosca subito dopo le prime luci dell’alba. Si passa tutta l’Europa centrale. Si attraversa la Moravia e poi la Polonia, la Bielorussia e la Russia. Questa traversata venne compiuta nella primavera del 1954 dalla scrittrice Anna Maria Ortese che venne invitata dall’Unione delle donne italiane a recarsi a Mosca per un mese con una delegazione italiana. Tutti i componenti della rappresentanza sarebbero volati fin laggiù in aereo. La Ortese, che aveva paura di volare, scelse invece la strada ferrata e partì da sola dalla Stazione centrale di Milano. Il viaggio fu solitario, difficile e pieno di emozioni. Il vero viaggio per lei iniziò da Praga. Quando le voci si fecero confuse, il freddo acuto e la sete intensa. Poco dopo Praga il treno si fermò. Nel bel mezzo di un temporale la scrittrice dovette correre in aperta campagna per salire su di un’altra carrozza. «Qui, una terza classe modesta, contadini e soldati, i finestrini erano aperti e le nuvole nere, lacerate da grandi zete di fuoco, sembravano opprimerci, ma nessuna di quelle persone mostrava di accorgersene. I loro volti erano, o sembravano, indifferenti a qualsiasi minaccia di fastidio o disagio, e tanto meno commossi davanti allo spettacolo delle forze naturali; molti, anzi, sporgevano addirittura col viso dal finestrino, come se in quell’orribile campagna brillasse il sole». Oggi si percorrono duemila chilometri. Dopo Praga ci si dirige verso la Moravia settentrionale per toccare Olomuc e poi Ostrava. Sulla nuova carrozza le capitò di incontrare un giovane «smilzo e biondo, con una faccia dolcissima» che le riparò la cerniera del suo sacco senza dire una sola parola. Interrogandola solo con lo scintillare degli occhi.
Da Ostrava siamo a un passo dalla frontiera polacca che si passa poco dopo le tre di notte. Al confine la Ortese dovette scendere di nuovo. Un ufficiale le parlò in spagnolo riuscendo a tranquillizzarla un poco. Poi ci furono fulmini e lampi. E i suoi nuovi tremori. Il funzionario, che le sembrava avvolto nel suo pensiero, confessa di capirla. Anche sua madre ha paura di quegli scoppi. Quando l’uomo l’accompagna al nuovo treno, lei lo ringrazia ma vorrebbe dire di più. Nella cuccetta che le fu assegnata per le due notti successive trova una coppia russa. Il treno attraversa la zona montuosa e da qui si arriva, nel pieno della notte, a Katowice, nell’alta Slesia. La donna canta Santa Lucia: placida è l’onda, docile il vento e poi A Mergellina. È stata in Italia. Lucia Ivanovic, così si chiama la giovane dai capelli neri, parla in russo ma alla Ortese pare di capire tutto.
Il treno attraversa le pianure della zona centrale della Polonia e arriva al confine con la Bielorussia, a Brest, verso le 3 del pomeriggio. Poi a Baranovici quattro ore dopo.
Al vagone ristorante quella sera la Ortese fece conoscenza con una giovane russa «indolente, bellissima». Con lei c’erano il marito e un amico, un giovane ufficiale di nome Pietro. A parlarsi furono soprattutto le due in un «bizzarro colloquio». Si parlarono passandosi dei bigliettini sul tavolo. Filtrò d’improvviso, a quell’ora del tramonto, un raggio di luce scintillante che inondò il vagone. «Liza, Sergio e Pietro mi parvero avvolti in quella luce, incandescenti, erano straordinari, e, fosse lo champagne o la stanchezza di tante emozioni, sentii i miei occhi inumidirsi. Essi mi guardavano tutti con dolcezza, come se in quella parte di tavolo, invece di una straniera, vi fosse una persona nota e lungamente ricordata». A Minsk si arriva alle otto e mezzo di sera. Il popolo russo visto da lontano, scriverà la Ortese per il reportage che uscirà per l’«Europeo», appare come composto da tante persone «inerti, fredde, assorte». Un mare visto da lontano. Ma tutto cambia quando ci si avvicina. Quando si entra a contatto con alcune di loro. Allora «ecco un fragore, un movimento, una gioia». E quel mare che da lontano pare nemico, da vicino diventa «fresco, colmo di suoni».
Il treno prosegue. Si entra in Russia poco dopo la mezzanotte. Il convoglio arriva nella stazione di Mosca alle sette e venti del mattino. In quel viaggio la Ortese arrivò più tardi. «… mancano poche ore all’arrivo, e sento Mosca già nell’aria come una presenza immensa, vaga di cupole dorate, misteriosa, febbrile. Benché non ci sia nulla che parli di costruito, qui intorno, benché col viso al finestrino del corridoio, non veda che campi di grano, casupole, boschi, e, sul cielo di maiolica celeste, non passino che i corvi e, per un attimo ogni tanto, figure di contadini e soldati, sento che la città si avvicina. Nel silenzio, nel sole». Alla stazione c’erano ad aspettarla le sue compagne di delegazione che iniziavano da quel momento a conoscere la Russia ed erano giunte fino a lì in aereo. Da quel momento, Anna Maria Ortese aveva ancora un mese di permanenza a Mosca. Eppure, a differenza delle sue compagne, per lei, quella visita, per quel che aveva vissuto e conosciuto, sarebbe pure potuta terminare prima ancora di poggiare piede sulla banchina della stazione di Mosca.
IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
L’EBOOK:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza” da Einaudi
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
CONTATTI:
Email: federico.pace@senzavolo.it
SOCIAL NETWORK:
https://twitter.com/FedericoPace_
La pagina di Senza volo su Facebook
NOVITA’:
Il nuovo libro di Federico Pace, “La libertà viaggia in treno” (Laterza), è in libreria a partire da giugno 2016.