La Foresta Nera e la natura che racchiude ogni cosa
di FEDERICO PACE
Non sempre si riesce a dire quel che si prova. In alcuni casi però, anche poche parole, possono bastare. Mark Twain, nel corso del viaggio che compì in Europa dalla Germania fino all’Italia, ammise, dopo averla attraversata a piedi, che non era possibile descrivere la Foresta Nera. Né si poteva dire quel che si provava all’interno di quella natura che racchiude ogni cosa. Poi, nel tentativo di chiarire meglio, disse che quando vi si cammina dentro, si prova un’emozione complessa che ha a che fare con un senso di appagamento, con un’allegra contentezza infantile e con un senso di remota profondità.
IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
Da Pforzheim, la «città dell’oro» dello stato del Baden-Württemberg, prende il via il Westweg, ovvero il sentiero occidentale che, in undici tappe, taglia da nord a sud quell’ultimo residuo di selva che un tempo ricopriva una ben più ampia parte dell’Europa. Nel primo tratto conduce attraverso la valle di Nagold-Enztal, a Birkenfeld, poi a Dobel. Sono poco più di venti chilometri. I cartelli qui sono bianchi di metallo e sono precisi e dettagliati. Su ciascuna freccia vengono indicate quattro destinazioni. Dalla più vicina alla più lontana.
Non c’erano ancora però quando nel novembre del 1974 l’allora ventottenne Werner Herzog, il regista tedesco nato vicino a Monaco di Baviera, attraversò a piedi questa affollata terra di abeti. Per lui non era insolito percorrere lunghe distanze affidandosi alla sola forza delle proprie gambe. Qualche anno prima aveva camminato lungo tutto il confine della Germania per provare a contenere, in un solo giro, quella nazione così divisa. Partito da Monaco, era diretto a Parigi. Qualcuno, dalla capitale francese, lo aveva chiamato al telefono, nel pieno della notte, per dirgli che una persona che gli era molto cara, una donna avanti con l’età, era in pericolo di vita.
Doveva sbrigarsi. Doveva fare presto, se voleva vederla viva. Doveva arrivare quanto prima. Doveva correre. C’era il rischio che potesse morire da un momento all’altro. Vieni qua subito, gli disse qualcuno, se vuoi almeno vederla morire. Per qualche motivo però, Herzog non prese un aereo, evitò i treni e anche i pullman. Decise, senza apparente ragione, di andare a piedi. Per qualche motivo, proprio in quell’istante così cruciale, preferì la lentezza alla velocità. Uscì di casa con poco indosso. Ai piedi, portava degli scarponi nuovi che in seguito lo avrebbero fatto soffrire. Lungo la strada, per la prima volta, provò paura nei confronti delle macchine che incontrava.
Mentre sul Westweg si prosegue il cammino verso sud la strada comincia a salire verso Lerchenkopf, poi si incontra la valle del fiume Murg, uno dei tributari del Reno, poi di nuovo la discesa verso Forbach. Il paesaggio appare fantastico. Twain nel suo diario parla di quella luce pomeridiana che, in quell’antro cupo di alberi dove non riesce a filtrare neppure un raggio di sole diretto, si diffonde d’improvviso prendendo il colore del muschio e delle foglie. Nei primi giorni, quando Herzog si mette in cammino persino gli oggetti che intravede, tutte le cose che popolano la terra, a un passo così lento, gli appaiono come oggetti stranieri, insoliti, quasi inspiegabili.
Quando ci si mette con il proprio corpo nel bel mezzo di una strada, in un bosco, o semplicemente si attraversa un campo, il punto di vista pare improvvisamente mutare rispetto a ciò a cui siamo abituati. Pare quasi di accedere a una dimensione che abbiamo perduto o mai posseduto. Tanto è diverso quello che si vede che non si riesce quasi neppure a metterlo a confronto con quello a cui si è abituati quotidianamente a confrontarsi. Per Rainhold Messner, che è amico di Herzog e con il regista ha girato anche un film, le cose assumono un aspetto ancor più acuto. Quando preparava la traversata a piedi in Antartide, a preoccuparlo era solo l’isolamento, il fatto di «essere esposto, inerme» di fronte a qualcosa che non conosceva. Per il resto era convinto di andare verso qualcosa di molto più vero e reale di quello a cui era costretto quotidianamente. Nel suo libro di memorie dice di essere certo che per quanto «concrete siano le automobili, percettibili le conversazioni telefoniche, visibili le immagini di uno schermo televisivo», tutto quell’insieme che tutti i giorni sta vicinissimo ai nostri occhi, per l’esploratore, non è «vera vita».
Il percorso si infila stretto tra il verde cupo degli alberi che paiono avere la magrezza delle figure di El Greco. Il cielo è azzurro e lucente. Poi Unterstmatt. Quando Twain, nel mezzo della Foresta Nera, arriva a Oppenau confessa che il vero fascino dell’attività del podista non sta nel camminare, né tanto meno in quel che riesce a vedere. Se si vuole davvero capire il pregio di quell’arte, scrive, la si deve cercare nel dialogo che nasce tra quelli che camminano l’uno di fianco all’altro. Quel che più pare sorprendente allo scrittore è il numero di argomenti che, tra un passo e l’altro, possono essere trattati, tanti che neppure un paesaggio panoramico riuscirebbe a contenerli tutti. Herzog, nel bel mezzo della foresta, era solo e non poteva parlare con nessuno. Soffriva per i muscoli che gli facevano male e non gli restava che proseguire ad appuntare sul suo diario dei pensieri ridotti all’essenziale.
Lungo le tappe, si alternano le vallate, si salgono vette elevate e si segue lo scorrere dei fiumi, ma il sentiero torna a immergersi sempre nel fitto degli alberi. Si raggiunge prima l’Alexanderschanze, poi Auf der Hark e infine Hausach. È pieno inverno quando Herzog entra nel cuore più profondo della Foresta Nera. Parigi è ancora lontanissima. Il soffio del vento gli spinge la neve proprio contro il viso, e quasi sempre si ritrova ad andare in salita. Per un paradosso però, proprio quando le condizioni climatiche peggiorano, «le gambe cominciano ad andare». Il sentiero quasi sparisce e fa difficoltà a rintracciarlo tanto che in alcuni punti si perde e anche gli alberi, in quel contesto, «sembrano completamente irreali».
Sempre verso sud si arriva al Wilhelmshöhe, poi al Kalte Herberge, Hinterzarten e la distesa d’acqua del Titisee. Quando infine, dopo avere attraversato l’intera Foresta Nera, e avere percorso pure la provincia francese, Werner Herzog giunse a Parigi, la sua amica era ancora viva. Nonostante i ventuno giorni impiegati per arrivare fino a lì. O forse, era viva proprio in ragione di tutto quel tempo. Come se, solo ricorrendo alla lentezza dei passi, sia possibile interporre tra sé e l’evento più incomprensibile di tutti, la maggiore distanza possibile.
IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
L’EBOOK:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza” da Einaudi
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
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NOVITA’:
Il nuovo libro di Federico Pace, “La libertà viaggia in treno” (Laterza), è in libreria a partire da giugno 2016.