In Norvegia tra precipizi e natura scoscesa
di FEDERICO PACE
Alle volte, il mezzo di trasporto pare un impaccio troppo fastidioso. Quasi un ingombro. Si direbbe una specie di armatura da cui è difficile liberarsi. Un grossolano bozzolo che separa dal mondo e attutisce sensazioni e percezioni. L’aereo è di certo l’armatura più pesante che si possa indossare per andare da un luogo a un altro. Ha le sembianze di una grande gabbia affusolata dove, poco prima di partire, si viene chiusi come tanti uccelli a cui, per paradosso, è reso impossibile il vero volo. Stretti, si resta seduti dentro il corpo concavo di un metallico velivolo. Raccolti in una specie di ogiva asettica, in uno spazio pneumatico, si attraversa il mondo senza sentire alcun odore. In quel mare d’aria fra troposfera e stratosfera, mentre si sta proprio nel bel mezzo del cielo, la pelle non è sfiorata da alcun soffio di vento. Lassù, nello spazio azzurro, si sente solo il gelo artificiale dell’aria condizionata.
IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
Alle otto di sera parte da Bergen il postale che porta verso nord. Il profilo è quello increspato della Norvegia. Tutto sembra acqua e terra. Anche a bordo di questo immane battello che è il Postale dei Fiordi è come se pian piano la carcassa d’acciaio, quella specie di bardatura da battaglia, che s’indossa a ogni viaggio, possa divenire più leggera. Qui di certo ci si può alzare dal lettino, lasciare il posto in cui si sta seduti, salire le scale, e, reggendosi ben bene, uscire sopra coperta. Lì sopra lasciarsi inondare il viso dall’umore del vento. Stare ad ascoltare il tormento delle acque. Alzare il volto, e guardare, fino a farsi quasi spaventare da tutta quella volta celeste. Lontana, infinita.
La prima tappa del viaggio è Floro a quasi novanta miglia nautiche da Bergen. Poi Maloy, Torvik e Alesund. In viaggio si è sempre in un altro mondo. Si è, lontani da casa, immersi d’improvviso solo nel tempo di quel che accade. Al mattino ci si aggrappa a ogni dettaglio di quel che si vede come a una liana perduta nel vuoto. Si salta così da un’emozione all’altra. Confidando solo su quello che si vede e si prova. In questo modo si arriva al di là di quel tempo. Se si ascolta la voce di uno dei protagonisti narrati da Knut Hamsun, il solitario scrittore norvegese vincitore di un Nobel negli anni Venti del secolo scorso, appartato e discusso, si scopre che il tempo che scorre non è altro che l’erba che si corica, il canto di alcuni uccelli, i fiori che si chiudono nel pomeriggio, le foglie che passano a un dato momento dal verde lucente a quello cupo.
Da quella terra che si incontra con il mare, di quei precipizi di natura scoscesa, Hamsun arriva quasi ad ascoltare una specie di melodia, i «fianchi delle montagne erano bagnati e neri per l’acqua che vi scorreva in rivoli, che gocciolavano e scorrevano con la stessa sottilissima melodia. Questa sommessa musica senza fine mormora qui nella sua solitudine, pensavo, e nessuno l’ascolta e nessuno vi presta attenzione, e tuttavia mormora qui per se stessa in continuazione». Sulle barche usate per le gite, nelle sue storie, pare tirare sempre un vento di primavera, lumineggiano fazzoletti bianchi e si inseguono sguardi di giovani donne.
Nel 1930 Walter Benjamin, il filosofo berlinese che trascorse molta parte di vita a Parigi, salì a bordo di una nave che lo portò a bordeggiare la Norvegia. Rimase colpito da quel mare, dai gabbiani, dalle città e da quel modo di vivere sempre dentro casa o poco dentro l’uscio. Quando una sera rimase in coperta sulla nave stette a lungo a osservare i gabbiani e i loro arabeschi. Quelle aeree forme di vita a un certo punto si divisero in due stormi e lungo il tramonto vibrarono il loro biancore d’ala ai due lati del cielo: uno a oriente dove c’erano gli ultimi bagliori e l’altro verso occidente dove lo sfondo del cielo s’era spento. Tanto che Benjamin non poté che dividere il proprio sguardo ora per uno stormo, ora per l’altro. «A lungo durò quel contrappunto, – scrive Benjamin, – sì che io stesso non fui più che la linea di confine, sopra alla quale gli ineffabili messaggeri si alternavano neri e bianchi nei cieli». La pellicola, che separa dal mondo, in alcuni luoghi, in alcuni momenti, pare essere più sottile che altrove.
IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
L’EBOOK:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza” da Einaudi
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
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NOVITA’:
Il nuovo libro di Federico Pace, “La libertà viaggia in treno” (Laterza), è in libreria a partire da giugno 2016.