In bici in Olanda, i tulipani e l’irriverenza e il rispetto
di FEDERICO PACE
Lungo quel tratto d’Olanda che da Haarlem va verso sud fino a Leida è inesorabile in primavera attraversare un mare di petali di tulipani. La luce s’imprime come una surreale pittura di un artista che ha deciso di dipingere la sua creazione, invece che disponendo i colori su una tela bianca, sull’umida terra insediata dall’acqua. Tutto questo colore, il rosso, il giallo, e persino il bianco, sembra una compensazione alla modestia che, altrimenti, avrebbe avuto il paesaggio di questa terra piana il cui orizzonte non sembra poter concedere altra sorpresa in assenza di vette scoscese e concave valli. Il percorso unisce le due città e le bici si affittano alle stazioni ferroviarie. Sono d’uso comune e, semmai, a sentirsi svantaggiato qui è chi predilige l’automobile. Lungo la strada si incontrano i piccoli centri di Heemstede e Hillegom.
IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
Ogni cosa pare mostrare un aspetto domestico. Non appena si va in un paese in cui non si è mai stati, si prova un’indefinibile emozione. Al piacevole conforto che si trae nell’avvicinarsi e nel conoscere i luoghi e le persone, si accompagna, quasi sempre, un sottile spaesamento. C’è, in quel miscuglio di emozioni, un qualcosa di simile a quello che si prova quando, per la prima volta, si è ospiti in una grande casa. Lì, mentre si sta seduti e si sorseggia una bevanda e il sole pomeridiano inonda di luce trasversale i pavimenti, ci si sente confortevolmente parte di quel microcosmo di vita. Ma poi, quando d’improvviso l’orecchio coglie un rumore soffocato arrivare dal fondo del corridoio, in un istante si capisce che esistono, in quella stessa casa, oltre il confine dello spazio in cui si è stati ammessi, altre stanze. Luoghi che, ci sembra di intuire con la nuca dei pensieri, non riusciremo mai a visitare.
I tulipani, in Olanda, sono ovunque. Stanno stretti, come piccoli soldatini ordinati, nei piccoli catini delle edicole dei mercati sui canali di Amsterdam. Nei quadri, grandi e piccoli, appesi alle pareti dei musei. Ma è nelle infinite distese dei campi, in quel tempo esile della fioritura, che si mostrano in tutta la loro nuda vitalità.Così pure le biciclette. Stanno appoggiate a un muro, lungo i ponticelli che attraversano i canali, in attesa ai semafori. Ma è fuori dalla città, che sembrano ancor più vive.
Quando Mario De Biasi, uno dei reporter italiani della preziosa stagione della rivista «Epoca», arrivò qui per un reportage sull’alluvione che aveva appena terminato di affliggere le terre basse, non poté che riprendere anche quelle leggere strutture. Lo farà ancora e di nuovo tutte le numerose volte che ci tornerà in seguito. In una di queste immagini si vedono sei donne, di diversa età, in bicicletta correre lungo una stretta striscia di terra che è lambita da acque paludose.
Nella foto, scattata nel 1981, le bici non premono contro quella terra e il loro passo è lieve. S’alza appena un refolo che solleva di un poco i capelli della seconda figura femminile. Le sei bici non sembrano andare molto veloci, tutte e sei le donne sorridono. Forse solo l’ultima, quella che chiude la fila, pare restia a svelare il suo stato d’animo. Dietro di loro il cielo è grigio, e tre imponenti mulini a vento, di fattezze che scalano dal più grande al più piccolo, con le loro ombre scure, riempiono la volta. Non c’è un solo uomo. Le donne sembrano libere e tranquille di stare, da sole, in quel lungo tratto di esile terra. Guardano, forse un po’ stupite, verso la figura del fotografo che d’improvviso si è arrestato per cogliere quel filare di ruote, gambe e sorrisi. Forse, se lui non fosse rimasto così distante, fermo a fotografare, ma fosse andato loro incontro, una di esse lo avrebbe invitato in casa a prendere una tazza di tè.
Lo scheletro leggero della bici, permette di avvicinarsi, quanto più possibile, agli spazi riservati della natura. Proprio a metà strada tra le due città si trova Lisse, nei cui dintorni si distende la più alta concentrazione di campi di tulipani. Qui c’è anche il Keukenhof, il parco dove fioriscono alcuni milioni di tipologie di tulipani, giacinti e narcisi.
Andare in bici è, allo stesso tempo, un gesto di irriverenza e di rispetto. Di irriverenza verso l’ordinario modo di procedere motoristico e assordante. Di rispetto, verso il silenzio e la natura. Allo stesso tempo però è un gesto che chiede precisione ed essenzialità.
Il tulipano, a differenza di altri fiori, non ha alcuna altra valenza o finalità. Dai suoi petali non si possono trarre essenze che possano curare alcuna costipazione. Non c’è alcun infuso che si può ottenere per ridurre un mal di testa o alleviare le irritazioni agli occhi. Non ha una forma complessa. Per il poeta olandese Willem Jan Otten, la poesia ha le stesse sembianze di un viaggio in bicicletta in una terra assediata dalle macchine. Se è vera la sua affermazione, altrettanto vera sembra essere quella secondo cui usare la bicicletta è quasi come usare un verso di poesia mentre tutti gli altri pronunciano un profluvio di frasi sconnesse. La bici, il tulipano e la poesia, sembrano caratterizzate da una necessaria essenzialità. Tutte prive di elementi superflui.
Nel confronto con la primaverile realtà, l’autunnale immagine di De Biasi sembra quasi ricostruire quello che sarebbe stata l’Olanda senza quella floreale forma di vita. L’indocile poeta polacco Zbigniew Herbert che, pur vivendo a lungo nella sua città di nascita che era Leopoli, fu costretto dalla mutevolezza dei confini geografici a cambiare nazionalità quattro volte, si incuriosì tanto a quel rapporto così unico tra i tulipani e gli olandesi da scriverne un libro. Herbert arrivò a ipotizzare che il tulipano, dopo essere stato importato dalla Turchia in Europa alla fine del xvi secolo, riuscì ad avere in Olanda una diffusione spropositatamente superiore a quella che ebbe negli altri paesi europei, perché qui il paesaggio monotono aveva finito per alimentare, dentro l’animo di ciascuno di loro, «il sogno di una flora inconsueta, colorata, variegata».
Il parco di Keukenhof è aperto solo in quei giorni dell’anno in cui l’energia vitale di un fiore, racchiusa a lungo nella dimora stretta di un bulbo, compie la sua arrampicata fino alla vetta dei petali. Quando si visita un luogo, anche quando lo si fa sopra di una bici, anche quando si va nei dintorni di un parco fiorito, e si corre lungo i campi d’un colore assoluto, si ha la sensazione di essere quel calabrone sgraziato che nella poesia di Zbigniew Herbert, «si è posato sul fiore piegandone lo stelo flessuoso», facendosi largo tra le file di petali per arrivare al centro, «ove c’è aroma e dolcezza» e «raffreddato e sprovvisto del gusto, si ostina finché sbatte la testa contro il giallo pistillo».
Alla ricerca di colori, a bordo di una bici, andò in queste terre anche il pittore olandese Piet Mondrian. Agli inizi del Novecento, il pittore olandese, quando ancora non aveva avvicinato il cubismo di Picasso e Braque, e stava ancora trattenuto nella sua natura di bulbo non fiorito, decise di comperarsi una bicicletta. Con quella piccola due ruote, leggera e silenziosa, girò lungo il piccolo fiume Het Gein nella zona a sud di Amsterdam alla ricerca di soggetti e spazi che lo ispirassero. A colpirlo furono quelle distese di colore, quelle gettate di pastello sulla terra calda. Più tardi, quando tutto il suo dipingere si dissolse in linee orizzontali e spazi di colore, quando riuscì a fare fiorire la sua pittura matura, disse: «Io costruisco combinazioni di linee e colori su una superficie con l’obiettivo di descrivere la bellezza». La natura, anche dopo, rimase sempre lì a ispirarlo. Cercava di astrarne tutto il concreto fino a poter raggiungere «l’origine delle cose».
Quando alla fine si esce da quelle distese fiorite e si arriva a Leida, non è facile dire se quei campi colorati siano, dell’Olanda di oggi, le stanze remote o se essi rappresentino solo l’ampio salone inondato da un sole pomeridiano. Nel dubbio che permane, al termine di quel breve viaggio, al viaggiatore sulla bici, come al calabrone sgraziato della poesia di Herbert, non resta che il conforto di un «naso impolverato di giallo».
IN LIBRERIA:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza”, Federico Pace (Einaudi)
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
L’EBOOK:
—>>>“Senza volo. Storie e luoghi per viaggiare con lentezza” da Einaudi
—>>>“La libertà viaggia in treno”, Federico Pace (Laterza)
CONTATTI:
Email: federico.pace@senzavolo.it
SOCIAL NETWORK:
https://twitter.com/FedericoPace_
La pagina di Senza volo su Facebook
NOVITA’:
Il nuovo libro di Federico Pace, “La libertà viaggia in treno” (Laterza), è in libreria a partire da giugno 2016.